lunedì 26 luglio 2010
Castagna: «Entro Natale ospiterà famiglie che non hanno un tetto». «Non conserverò nulla, i miei cari non sono in questi oggetti ma accanto al Padre buono». Un progetto che nasce dalla fede e che contempla anche Azouz Marzouk: «Al taglio del nastro sarà con noi».
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Come all’inferno, la prima cosa che ci investe quando la porta si apre è un acre odore di fumo che ancora ristagna dopo quasi quattro anni dalla strage. La seconda è la paura. La paura di avventurarsi all’interno, l’ansia dell’incontro con l’abisso del male: in quelle stanze l’11 dicembre del 2006 morirono massacrate a colpi di spranga e di coltello quattro persone, e una quinta si salvò per miracolo. I primi soccorritori che entrarono e videro, per mesi dovettero curare la psiche... Da pochi giorni il Tribunale di Como ha tolto i sigilli e restituito la casa a chi nell’eccidio perse la moglie Paola, la figlia Raffaella e il nipotino Youssef, e per la prima volta da quella sera Carlo Castagna rientra nel luogo in cui tutto avvenne. «Ci vuole coraggio», avverte. Poi si addentra per primo.Cenere e fuliggine avvolgono ogni cosa, il mondo delle tenebre sembra essersi definitivamente appropriato di quelle stanze e nemmeno il sole di luglio che le invade all’aprirsi di una persiana basta a rompere l’oscurità. L’incendio, appiccato a cose fatte dai due assassini per nascondere le prove, ha annerito soffitti e pareti, ha contorto i mobili e fuso gli oggetti, ha rubato i colori e le forme, lasciando una massa irriconoscibile di armadi e suppellettili.Anche quello che era il lettino bianco di Youssef è uno scheletro di carbone, come nella stanza accanto il letto matrimoniale di mamma Raffaella e papà Azouz. In tanto nero spicca rosso fuoco soltanto il divano dietro il quale Youssef, 2 anni e 3 mesi di vita, cercò invano riparo: Olindo lo raggiunse e gli tenne i polsi, Rosa alzò il coltello. I primi soccorritori lo trovarono così, gettato sui cuscini a braccia aperte, come un piccolo crocifisso. «Quei due erano preda del demonio, non possono aver fatto una cosa del genere... nessun essere umano ne sarebbe capace», sussurra in pianto Castagna. E difatti di umano non c’è nulla in quello scenario rimasto immobile, cristallizzato al momento della strage: come per un’improvvisa apocalisse, i piccoli gesti della vita quotidiana si sono interrotti di colpo e ora restano lì a mezz’aria, assurdi, irrisolti. «Tutto è fermo a quella sera, nessuno ha più potuto toccare nulla», mormora Castagna girando lo sguardo sui tanti segni di una normalità che scorreva ignara del pericolo. Paola, Raffaella e Youssef erano appena rientrati in casa quando la furia di Olindo e Rosa Romano si avventò su di loro, e sul tavolo in cucina è ancora appoggiato un cappuccio di lana blu: «Era di Youssef, lo ricordo bene. Paola lo stava spogliando...», si commuove incredulo il nonno, stringendolo forte tra le dita. Poco distante, ancora sigillata, la scatola di biscotti comprata quel giorno, sul coperchio un Babbo Natale. Subito accanto il peluche di Tom e Jerry e un cucciolo dalmata della "Carica dei 101", a terra il pallone giallo di "Winnie the Pooh". In centro al tavolo gli addobbi per l’albero e una stella d’argento che non brillano più, sul caminetto un grande poster con Topolino e Minnie che corrono sulla slitta trainata da Pluto e una scritta, "Natale 2006, che festa ragazzi!". Castagna non trattiene il pianto.Lentamente, di stanza in stanza, passa in rassegna ogni oggetto, con le dita lo pulisce dalla cenere scura e lo riconosce, a volte persino sorride ai ricordi che tornano. In un angolo il bambolotto preferito di Youssef, a terra la scatola del piccolo falegname con il trapano a pile e il saldatore, e la casetta in plastica colorata in cui si sedeva e giocava all’ufficio. Le ante nere degli armadi e i cassetti vomitano alla rinfusa giocattoli, pigiamini, i libri che la nonna comprava al nipotino nato da papà islamico e mamma cattolica ("Dio Iahvè Allah, 100 risposte alle domande dei bambini", "Cantiamo con Gesù"), e poi lettere, ritagli, montagne di foto dei giorni felici. Ma anche i sogni e le illusioni: «Manchi solo tu con noi nella tua bellissima terra. Mille baci dal tuo Youssef e dalla tua Raffa», legge su una cartolina che Raffaella inviò dalla Tunisia nell’agosto del 2006 al marito Azouz, in carcere in Italia per spaccio, sempre convinta di poterlo cambiare. E da un cassetto esce intatta la lettera che nel 2004 il sindaco di Erba scrisse a Youssef appena venuto al mondo: "Hai scelto proprio una bella città per i primi vagiti, per i tuoi primi passi... mi auguro anzi per tutta la vita!". Sulla soglia della camera le pantofole che sua mamma non fece in tempo a indossare. Nella lavatrice l’ultimo bucato, sulla vasca un bambolotto di gomma che il calore ha sciolto in una posa impossibile. Appesa sul terrazzo dondola al vento l’altalena e una girandola non ha mai smesso di ruotare. «Non conserverò nulla», promette Castagna, «mi terrorizza l’idea di cercare i miei cari in luoghi e in oggetti che certo non li rappresentano. Loro non sono in questa casa ma su in cielo accanto al Padre buono, immersi nella luce della Grazia, e pregano per noi. Già i prossimi giorni farò portare via ogni cosa ed entro Natale qui sarà tutto nuovo». Quella che la gente per ora ricorda come la "casa della strage" presto diventerà luogo di rinascita e sarà un tetto per chi non ce l’ha: «Io e i miei due figli abbiamo deciso di affidarla alla Caritas, che a rotazione la darà a giovani coppie in emergenza e famiglie in difficoltà. Dove c’era la morte tornerà la vita, la speranza spazzerà via tutto l’odio, e magari risuonerà di nuovo il vagito di una nascita». Sarà la stessa ditta di arredamenti Castagna a fare i lavori, riportando l’antica corte lombarda di via Diaz alla sua austera bellezza, «curerò tutti gli arredi come avevo fatto per Raffaella, nulla dovrà pesare sulle spalle della Caritas o delle famiglie che ci entreranno... Chi abiterà qui troverà un luogo lindo e santo, e il ricordo di persone meravigliose». Un progetto che nasce da una fede certa e nel quale Castagna include anche Azouz Marzouk, da poco diventato di nuovo papà in Tunisia: «Non restiamo attaccati a feticci inutili, ricordiamo i nostri cari per ciò che erano», gli ha consigliato giorni fa al telefono parlandogli come un padre. «Gli ho detto che quando taglieremo il nastro inaugurale ci sarà anche lui al nostro fianco, che è ora di accantonare gli errori fatti e affrontare la vita con un impegno maturo... Youssef, Raffaella e Paola proteggeranno dal cielo lui e le due creature di cui adesso è responsabile. Mi sembrava ragionevole, spero tanto che mantenga la promessa, lo spero per lui, per la ragazza italiana che lo ama e per quella bimba... Da questa casa, dove fu versato il sangue dei nostri martiri, può ripartire anche lui».
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