martedì 9 maggio 2017
Battistelli: gli immigrati apportano benefici in ambito fiscale, previdenziale e demografico. Per capire il fenomeno dei flussi migratori e abbattere i "pre-giudizi"
Fabrizio Battistelli

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«Per capire il fenomeno dei flussi migratori dobbiamo innanzitutto partire dal presupposto che i migranti sono persone che affrontano un 'rischio' che comporta l’investimento della propria vita per cercare un futuro migliore per sé e per i propri figli, come hanno fatto 9 milioni di italiani agli inizi del Novecento». Fabrizio Battistelli, sociologo dell’Università La Sapienza di Roma, punta il dito contro i 'pre-giudizi' che in Italia e ancor più in alcuni paesi europei, si addensano sull’immigrazione e gli immigrati.

La politica e l’informazione quando trattano il fenomeno dell’immigrazione lo fanno sempre evidenziando gli aspetti negativi, perché?
Perché gli aspetti negativi fanno più notizia di quelli positivi. La via più semplice è quella di dare la notizia più clamorosa e scandalistica. Al momento l’immigrazione è stata inserita nella cornice 'minaccia'. Per suscitare l’attenzione si calca la mano sull’aspetto dell’allarme e si crea l’al- larme anche quando non c’è. A trasformare il 'rischio' migrazioni in una autentica 'minaccia' è il discorso mediatico, che rimuove sistematicamente i benefici.

Quali sono le buone notizie?
Le buone notizie sono i benefici, cioè gli aspetti positivi e funzionali dell’immigrazione. Ci sono una serie di ambiti demografici ed economici in cui l’immigrazione dà un contributo positivo. Come quello fiscale o previdenziale, ad esempio. I migranti rappresentano oltre il 10% della forza lavoro occupata e lo sono nei settori meno qualificati e meno pagati. Fanno lavori che sarebbe difficile far fare a qualcun altro. Lo fanno come salariati ma anche come piccoli imprenditori. Una forza lavoro che produce un gettito fiscale di 16miliardi e 900 milioni e, al netto delle spese sostenute dallo Stato, genera un saldo attivo di 2,2 miliardi.

Però l’italiano senza lavoro e in lista d’attesa per una casa non pensa a questi aspetti.
L’italiano pensa che i lavoratori stranieri vengono assunti perché costano meno o che deve competere con gli immigrati nella lista d’attesa per una casa popolare o per l’asilo nido. Dal cittadino che si trova a misurarsi con questa forma di competizione è difficile aspettarsi che pensi ai benefici, se nessuno lo fa riflettere. Ecco dove pesca il populismo. Le paure dei ceti più sfavoriti vengono strumentalizzate dai partiti specie in concomitanza con le scadenze elettorali.

Come si superano questi 'pre-giudizi'?
Si tratterebbe di ridefinire onestamente l’immigrazione come un processo complesso che bisogna governare nei suoi costi e nei suoi benefici. E lo devono fare da una parte la politica e dall’altra l’informazione, offrendo una comunicazione corretta e non strumentale, che non miri soltanto ad avere audience e voti. Un fenomeno che non può essere risolto a livello sistemico da un solo Paese, come l’Italia, ma al livello dell’Unione europea. L’Europa è un’aspirante federazione che non riesce a diventare tale, con una leadership debole. Ma è l’unica soluzione politica istituzionale che abbiamo di fronte.

Qual è l’allarme vero, rispetto a quelli falsi o strumentali?
Accoglienza e integrazione sono il primo requisito di sicurezza. La maggior parte dei migranti affronta un 'rischio', che comporta l’investimento della propria vita, in vista di un futuro migliore per se e per i propri figli. Bisogna soprattutto comprendere il fenomeno da qui e poi dare riferimenti educativi ai giovani di seconda generazione. Di fronte a una minaccia di terrorismo, l’ordinamento politico democratico deve essere difeso, però non a scapito della prevenzione sociale.

Oltre 5mila morti in mare, l’anno scorso. La gente si rende veramente conto di questa tragedia o c’è un’indifferenza generale?
C’è un processo di spersonalizzazione e di disumanizzazione. Diverso sarebbe veder morire in mare nostri concittadini, italiani ed europei. C’è meno identificazione perché ci si dimentica di che cosa è capitato al nostro Paese in passato, ad esempio tra il 1901 e il 1915 quando l’Italia ha lasciato partire una media di seicentomila emigrati all’anno, 870mila nel solo 1913. Abbiamo perso la memoria di tutto questo.

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