domenica 3 maggio 2020
Nel 'Cura Italia' il nullaosta alla libera uscita di un bel numero di pericolosi boss mafiosi? È bene non fare di ogni erba un fascio.
Quei boss usciti di cella: esagerazioni e paradossi

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Nel “Cura Italia” il nullaosta alla libera uscita di un bel numero di pericolosi boss mafiosi? È bene non fare di ogni erba un fascio. Infatti, le scarcerazioni di cui si parla – e ci si riferisce in particolare a taluni trasferimenti in detenzione domiciliare – risultano per lo più motivate a prescindere dalle norme contenute in quel decreto e dirette ad arginare la diffusione del contagio negli istituti penitenziari. Eppure qualche specifica vicenda appare, a dir poco, paradossale.

E proprio dal punto di vista della tutela della salute individuale e collettiva, a cominciare da quella del detenuto sottratto al totale isolamento personale in cui si trovava all’interno di una struttura di massima sicurezza per essere portato, all’altro capo della Penisola, in un’abitazione situata nel bel mezzo di una “zona rossa”. Giusto, d’altronde, accertare eventuali responsabilità per quelle che, tra le concessioni, fossero dovute a leggerezza o peggio. Lecita, però, e già in parte delusa, la speranza di non vedere quest’esigenza liquidata in fretta mediante qualche atto di dimissioni o travolta da polemiche politiche di schieramento. Comprensibili, piuttosto, l’amarezza dei familiari di vittime di crimini crudeli e i timori dell’opinione pubblica per possibili pericoli per la sicurezza collettiva che potessero venire da quelle scarcerazioni.

Coronavirus o no, sembra dunque avere qualche buon motivo la decisione governativa di rendere obbligatorio il parere della Procura nazionale antimafia quando la detenzione domiciliare sia chiesta da detenuti sottoposti al cosiddetto “regime 41–bis”. E ciò, in analogia con l’indicazione venuta qualche mese fa dalla Corte costituzionale a essenziale contrappeso della cancellazione dell’inderogabilità dell’ergastolo “ostativo” (ossia del divieto assoluto di permessi di uscita dal carcere per chi a quel regime fosse assoggettato). Ricapitoliamo, allora. Non può essere discusso che in via di principio spetti, come spetta, alla magistratura di sorveglianza – la più idonea a valutare la condotta dei reclusi – decidere ogni alleggerimento, sospensione o cessazione della detenzione di una persona; ma quando i precedenti di tale persona configurino rischi connessi alla possibilità del permanere di legami più o meno intensi con la criminalità organizzata, è bene che quantomeno si ascolti chi ne sa di più (sebbene appaia eccessivo il termine di quindici giorni durante il quale la decisione dovrà ora rimanere sospesa in attesa della risposta della Procura). Cautela, insomma.

Senza cedere, però, come società civile, alle suggestioni del «devono marcire in galera» e del «buttare la chiave»: slogan contrari all’articolo 27 della nostra Costituzione (che condanna le pene inumane e le vuole invece tendenti alla rieducazione) ma inaccettabili, si può ben aggiungere, anche per chi cerchi di prendere sul serio il Vangelo.

Di qui, almeno due conseguenze. Da un lato, anche al più pericoloso criminale va sempre garantito un adeguato trattamento preventivo e curativo di malattie, personali o epidemiche; e non può essere che non si trovi tempestivamente una soluzione umana all’interno del circuito carcerario nei casi estremi in cui, nonostante la gravità delle condizioni di salute della persona, la protezione della sicurezza collettiva impedisce che della reclusione si faccia a meno.

D’altro lato, abusi, veri o presunti, a favore dei boss non devono servire da pretesti per radicali dietrofront rispetto alle misure adottate, in via generale, per bloccare la diffusione del contagio tra detenuti e tra lo stesso personale penitenziario o per ritardare ulteriormente il concreto potenziamento del “normale” sistema di misure alternative al carcere. Tra le due cose, del resto, c’è un nesso abbastanza evidente. Perché meno persone ci sono in prigione, minor difficoltà ci dovrebbe essere nel prendere opportune misure di tutela della salute per chi in prigione è purtroppo necessario che ci rimanga. Che poi, pure per chi non è mafioso, la scarcerazione anticipata non debba significare licenza per recidive, e vi sia pertanto l’esigenza di cautele proporzionate ai rischi, e poi di controlli, è – dovrebbe essere – altrettanto chiaro. A tutti.

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