venerdì 10 dicembre 2010
Cresce il numero degli sposi che preferisce non unire i patrimoni immobiliari e finanziari: il 62,7% nel 2008, contro il 54% del 2004. L'avvocato matrimonialista Emanuela Colombo: «il rischio è di passare di precarietà in precarietà: la separazione dei beni può essere fonte di contrasti e spere­quazioni tra i coniugi»
COMMENTA E CONDIVIDI
«Quel che mio è tuo». An­zi, no: «Quel che è mio è mio, quel che è tuo è tuo». Davanti al sindaco o al parroco, poco im­porta: oggi gli sposi nel­la maggioranza dei casi scelgono la separazione dei beni. Per la precisione, il 62,7% dei matrimoni ce­lebrati nel 2008 sottostanno al regime della separazione; solo quattro anni fa, nel 2004, la percentuale era decisamente più bassa, arrivando al 56%. La comunione dei beni, dunque, ha per­so terreno dal 1975, quando fu intro­dotta in via automatica nel matrimonio come forma di tutela del coniuge eco­nomicamente più debole. L’Italia co­munque, anche sul fronte del regime patrimoniale degli sposi è "federalista": ci sono regioni come Valle d’Aosta, Mar­che e Piemonte in cui la quota delle nozze in re­gime di separazione dei beni supera il 70%, e altre come la Sarde­gna, dove la comunione dei beni è ancora in mag­gioranza (50,6% contro il 49,4 di separazione).Ma perché gli sposi oggi scelgono la strada di mantenere i patrimoni separati? I motivi sono più d’uno: la semplicità di alcune ope­razioni come la vendita di beni (auto­mobili e appartamenti, ad esempio). Poi l’età più alta dei coniugi, ciascuno dei quali in genere ha già avviato una propria attività professionale preferen­do dunque separare, anche per motivi precauzionali, «quel che è mio» da «quel che è tuo». E, infine, in tanti casi può es­serci anche una sorta di riserva menta­le: se le cose tra marito e moglie non do­vessero andare bene, nel momento del­la separazione non ci sarà da accapi­gliarsi sulla casa al mare o sul servizio d’argento... «Nella separazione patri­moniale c’è un dato oggettivo di sem­plicità – spiega l’avvocato matrimonia­lista Emanuela Colombo, con studio a Milano –, sia nella gestione del quoti­diano sia negli acquisti e nella vendita di beni. La separazione dei beni è an­che utilizzata quando i due coniugi han­no già un patrimonio personale alle spalle, cosa che oggi capita spesso visto che ci si sposa sempre più tardi. Ma a mio avviso dietro questa scelta esiste anche un criterio di precarietà: se le noz­ze dovessero naufragare, è più chiaro cosa appartiene all’uno e cosa all’altra»: davanti al giudice, in altre parole, non serviranno battaglie all’ultimo sangue per dimostrare che una casa o un mo­bile è dell’uno o dell’altra. Senza voler generalizzare, in questi casi è come se il «per sempre» tipico del matrimonio fosse messo un po’ da parte con un «per ora» che metta in salvo proprietà e pa­trimoni personali. «La mia opinione è che la comunione dei beni – continua Emanuela Colombo – sia il regime più conforme al matrimonio. Anche per­ché il rischio è di passare di precarietà in precarietà: la separazione dei beni può essere fonte di contrasti e spere­quazioni tra i coniugi». Che ci sia una tendenza sempre più marcata a scegliere la se­parazione dei beni lo conferma anche don Francesco Vitari, parroco in una frazione di Segra­te (Milano) e responsa­bile nazionale di Incon­tro Matrimoniale: «Sì, nella mia parrocchia or­mai quasi tutti gli sposi chiedono la separazione dei beni. E mi spiegano che lo fanno per evitare problemi al partner in caso di attività professionali o imprenditoriali già av­viate. Sotto sotto, però – azzarda don Vitari – ci leggo anche una sorta di pau­ra di entrare in una comunione totale, dunque anche patrimoniale, con l’altro. Sono coppie che arrivano tardi al matrimonio, dopo due o tre anni di con­vivenza, e mi pare che a volte manchi un po’ di fiducia in se stessi e nell’al­tro ». C’è da aggiungere che spesso regna la confusione e la disinformazione sulle reali conseguenza dell’uno o dell’altro regime patrimoniale. Non è vero che nella comunione dei beni non si pos­sano acquistare beni separatamente, né che i guai finanziari di uno debbano travolgere necessariamente l’altra... For­se, allora, sarebbe opportuno che nei corsi di preparazione al matrimonio (sia in chiesa che in Comune) si ri­prendesse in mano il Codice civile...
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: