martedì 27 dicembre 2016
Giugno 2017 o alla fine della legislatura: ecco i dossier del cammino verso le urne.
Quando si voterà? Sei nodi per capire
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Un governo, è vero, non ha scadenza. Ma è pur vero che una serie di fatti oggettivi rendono difficile arrivare sino alla scadenza naturale della legislatura nel 2018. Uno, in particolare, è il ragionamento che fa da pilastro a tutte le ipotesi di voto anticipato: con il referendum del 4 dicembre sono fallite le riforme costituzionali promesse solennemente da Camera e Senato nell’aprile 2013 dopo due mesi di paralisi politica. È da questo ragionamento che si arriva già a indicare una data per le urne, l’11 o il 18 giugno 2017, pochi giorni dopo aver presieduto il G7 a Taormina. Ma non tutto rema in questa direzione. In Parlamento il 'partito del non voto' non conosce confini politici, partitici e geografici: tanti deputati e senatori figli del 'Porcellum' sono di prima nomina e non sono certi di essere reinseriti nelle liste elettorali dei rispettivi partiti. Diversi piccoli gruppi parlamentari sono inoltre frutto di scissioni interne ai grandi blocchi del 2013 (centrosinistra, cen- trodestra, M5S) e non hanno ancora definito un approdo politico certo. Non si può negare poi il peso di una data, 16 settembre 2017, in cui gli onorevoli alla prima legislatura matureranno il diritto all’assegno pensionistico. A dare speranza a chi non vuole votare a giugno c’è il grosso nodo della legge elettorale. Finché non si leggerà la sentenza della Corte costituzionale, non si potranno capire le reali intenzioni dei partiti. Proporzionale o un 'semimaggioritario' alla Mattarellum? Un semplice ritocco alle indicazioni della Consulta o una vera e propria riscrittura del sistema di voto? C’è chi proverà a fare in fretta e chi tirerà il freno. Mettere insieme una maggioranza sulla legge elettorale oggi non è facile. Perciò l’auspicio di chi davvero vuole le urne è che la Consulta dia una sentenza 'pronta all’uso'. Altrimenti la partita è tutta da giocare. Marco Iasevoli


1 Legge elettorale: verdetto il 24 gennaio

Una "x" segna sul calendario la data del 24 gennaio. È il giorno in cui la Consulta si riunisce per pronunciarsi sulla costituzionalità dell’Italicum. Stando a una prassi consolidata, per il giorno stesso si prevede già una risposta: dovrebbe essere una sintesi della sentenza con le motivazioni, che si conosceranno verosimilmente solo dopo un paio di settimane. La Corte dovrebbe valutare in particolare il premio di maggioranza, il ballottaggio e le candidature plurime. Tecnicamente, si tratterà di una sentenza applicativa, per non lasciare vuoti. In sostanza, se si dovesse creare una situazione di emergenza che richiede il voto anticipato, il presidente della Repubblica deve poter sciogliere le Camere, sapendo che la legge elettorale garantisce lo svolgimento di nuove elezioni. E però, da quando per il Senato si è tornati al proporzionale (sempre a seguito di una sentenza della Consulta), il capo dello Stato Sergio Mattarella ha invitato caldamente i partiti ad avvicinare il più possibile i sistemi di voto per l’elezione dei due rami del Parlamento.
Ma dopo la vittoria del No al referendum sulla riforma costituzionale, sembra diventato ancora più difficile trovare un accordo per scrivere insieme una nuova legge elettorale. Il leader del Pd Matteo Renzi ha messo nero su bianco la proposta del partito per un ritorno al Mattarellum. In questo modo ha ricompattato i dem, usciti con le ossa rotte dalla campagna referendaria. Il vecchio sistema di voto che segnò la svolta della seconda Repubblica, però, non trova il consenso di Berlusconi e Grillo, ma neppure di Ncd e Sinistra italiana. Lo voterebbero Lega e Fratelli d’Italia. Roberta d’Angelo
2 La partita nel Pd - Renzi scalda i motori e punta a rientrare
Smaltita la batosta della valanga di No al referendum, Matteo Renzi ha riordinato le idee, in vista del doppio scenario che si prospetta: voto anticipato o a scadenza di legislatura. E si è messo al lavoro per rinsaldare il suo Pd e la sua leadership. Il segretario dem non rinuncia ad accarezzare l’idea che quel 40 per cento di Sì ottenuto contro tutto e contro tutti sia un suo "bottino" da capitalizzare. Ma tutto dipende dalla legge elettorale con cui si andrà alle urne. Dunque per ora l’ex premier si concentra sul partito da puntellare e fortificare. Prima tappa: la segreteria. Domani o dopodomani il puzzle dovrebbe completarsi. Sul tavolo i nomi dei componenti del nuovo vertice Pd, insieme a quelli dei sottosegretari, che chiuderanno il cerchio del governo. Il partito "di lotta e di governo", scherzano a Largo del Nazareno. E subito partirà la seconda tappa, vale a dire un rafforzamento del partito nelle sezioni e nei territori. L’obiettivo è farsi trovare pronti per il voto, qualunque sia la data. Renzi non pensa ad anticipare il Congresso, e questo lo ha reso noto nella Direzione post-referendum. Le assise dovrebbero tenersi a scadenza a dicembre prossimo. Piuttosto se si andasse al voto anticipato, si prospettano primarie di coalizione. Con buona pace – è il ragionamento renziano – della sinistra dem e dei candidati pronti a sfidarlo per la segreteria: Speranza, Emiliano e Rossi. Per ora la partita non si gioca. Piuttosto Renzi ha stilato un calendario che prevede una riunione dei circoli il 21 gennaio, il 27 e 28 l’assemblea degli amministratori locali a Rimini, il 4 febbraio la conferenza sull’Europa. L’ex premier vuole giocarsi l’intero mazzo di carte per tornare a Palazzo Chigi. Ma sa bene che alla lunga potrebbe logorarsi. Roberta d’Angelo

3. I nodi economici - La mina Jobs Act e il rischio manovra
Non possono mancare i temi economici tra i fattori che incidono sul ritorno alle urne. Il 2016 lascia l’eredità del renzismo, che porta con sé nodi irrisolti o clamorosamente riaperti. Il più stringente di questi, sul piano temporale, è l’accavallamento tra il referendum (già sicuro per la primavera 2017, anche se il timbro dell’ufficialità sarà apposto l’11 gennaio dalla Corte costituzionale) sul Jobs act, ovvero la riforma del lavoro voluta da Renzi, e le eventuali elezioni anticipate. Un nodo, questo, al centro del recente caso aperto dalle frasi del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, convinto che «lo scenario più probabile» sia quello di un voto nel 2017 anche per allontanare nel tempo i tre "pericolosi" quesiti sul lavoro. Referendum ed elezioni, infatti, non possono tenersi nello stesso arco temporale (anche se, stando a un precedente del 1987, sui quesiti si potrebbe votare comunque in autunno).
Non c’è solo questo dossier, tuttavia, sul tavolo. A parte il capitolo banche, su cui il governo spera di aver messo una consistente toppa con l’ultimo decreto (che peraltro scarica sul già pesante debito pubblico un ulteriore fardello potenziale fino a 20 miliardi), ad allontanare la fine legislatura dall’orizzonte almeno della prossima primavera c’è anche il capitolo dei conti pubblici. Da marzo potrebbe svilupparsi sul doppio asse Roma-Bruxelles una fitta corrispondenza legata a un’eventualità che è tutt’altro che remota: una manovra correttiva sui conti del 2017. A marzo la Commissione Ue emetterà il giudizio finale sulla legge di Bilancio, che ha previsto misure fatte in deficit per 12 miliardi facendo salire il suo valore nominale dall’1,8 al 2,3%. Servirà una non facile opera di mediazione per evitare che ci venga presentato un "conto" salato. Eugenio Fatigante

4. Il cantiere di centrodestra - L'attesa di Strasburgo complica tutti i piani
Stenta a compattarsi il centrodestra di Berlusconi, Salvini e Meloni. Anzi, la nascita del governo Gentiloni ha trovato un leader di Forza Italia particolarmente collaborativo. Un’apertura che non piace affatto ai colleghi di Lega e Fratelli d’Italia, che già parlavano di primarie per scegliere il leader della coalizione. L’ex Cav., però, accarezza l’idea di risolvere la questione della sua ineleggibilità con la sentenza attesa da Strasburgo sulla retroattività della legge Severino, in base alla quale è stato messo fuori dai giochi. In caso di un ritorno in campo, Berlusconi non intende affatto misurarsi ai gazebo con gli alleati. Così, per ora, anziché vedere un cantiere in costruzione, si assiste a una guerriglia in quello che fu in passato il Pdl. Tanto più dopo il voto di Forza Italia a favore della relazione propedeutica al "Salva-risparmio" approvata dal Parlamento. Un voto a favore del governo, non scontato per le prossime misure secondo Fi, ma che inquieta Salvini e Meloni. Né Berlusconi mantiene segreto il suo desiderio di un’ipotetica alleanza con Renzi, per formare un governo nella prossima legislatura, che si prevede nascerà senza vincitori né vinti. E un nome l’ex Cavaliere lo ha già fatto: Mario Draghi, che – ha detto senza timore di essere smentito – «sarebbe un eccellente presidente del Consiglio».
Insomma, la confusione regna e le divergenze anche, come nel caso della legge elettorale. Mai come in questo periodo, proprio alla luce dei piani berlusconiani, Fi è sulla linea del proporzionale a oltranza.
Su Berlusconi, poi, pesano le vicende di Mediaset. La scalata di Vivendi all’impero di famiglia costringe l’ex premier a misurare le proprie mosse. E allora, l’idea di una grande coalizione, che tanto piace anche al centrista Pier Ferdinando Casini, resta un obiettivo succulento. Roberta d’Angelo

5 L'Italia nel mondo - Il test con l'estero, un carnet di impegni

L'ultimo annuncio in ordine di tempo è di ieri. Dario Franceschini, titolare dei Beni culturali, ha reso noto che si terrà a Firenze, il 30 e 31 marzo, il G7 fra i ministri competenti sulla cultura. È solo il primo di una serie di incontri, dal format simile (per ogni materia si vedono i rappresentanti dei 7 stati), che scaturiscono dal "test" globale che scatta il 1° gennaio: quel giorno, infatti, l’Italia assumerà la presidenza di turno del G7, il "club" dei Paesi più industrializzati tornato ormai da due anni al formato senza la Russia. Il nostro Paese ospiterà appunto tutti gli incontri preparatori a livello di alti funzionari e di ministri (a cominciare da quelli delle Finanze, anch’esso già programmato a Bari, dall’11 al 13 maggio, e degli Esteri), in previsione del vertice vero e proprio a livello di capi di Stato e di governo che si terrà a Taormina il 26 e 27 maggio. In questa chiave non è escluso che, come già avvenne per Berlusconi nel 2009 (da Obama), proprio per preparare l’appuntamento Gentiloni possa essere ricevuto alla Casa Bianca dal presidente Trump.

E non è tutto. Sempre dal 1° gennaio l’Italia siederà come membro non permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu che da novembre, per il sistema di turnazione, presiederà. Per tutto il 2017 farà parte inoltre della "trojka" che guida la presidenza dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa che deve vigilare sul pieno rispetto degli accordi di Minsk tra Federazione russa e Ucraina. Dell’Osce l’Italia presiederà poi il "gruppo di contatto" sul Mediterraneo. Tra giugno e luglio organizzerà, insieme alle vecchie e nuove presidenze (Austria, Francia e Germania), un vertice con i Paesi del cosiddetto "processo di Berlino" sui Balcani occidentali. Ma sul fronte europeo l’impegno maggiore riguarda il vertice straordinario del 25 marzo a Roma, per celebrare i 60 anni dei Trattati istitutivi. E. Fat.

6. La partita Campidoglio - Rischio crisi a Roma e l'ipotesi election day

Con la mancata approvazione del bilancio per il Comune di Roma lo spettro dell’esercizio provvisorio di Bilancio diventa realtà. I due principali attori dello scontro sul Campidoglio - M5S e Pd - sanno bene che rischiano di pagare nel prossimo voto politico la disfatta su Roma. Di disfatta su tutta la linea si tratta, per il Pd, dopo la rovinosa uscita di scena di Ignazio Marino, ma Virginia Raggi col mancato decollo della sua esperienza - fra inchieste, valzer di nomine e dimissioni - rischia a sua volta di tarpare le ali al Movimento che proprio su Roma puntava per mostrarsi pronto alla guida del governo.
Dopo esser stato vicino alla rottura Beppe Grillo ha indotto la sindaca a più miti consigli. Via il cosiddetto "Raggio magico", dopo il coinvolgimento nelle inchieste dell’ex assessore Paola Muraro e dell’ex "braccio destro" Raffaele Marra, le cui nomine - per i rapporti pregressi con la giunta Alemanno e con l’ex presidente di Ama Franco Panzironi - erano state avversate da tanti, con lo stesso Grillo perplesso.
Si tratta ora, per M5S, di tenere in vita Raggi almeno per i prossimi mesi, rimettendo in sesto il Bilancio, visto che - al di là della bocciatura dei Revisori, che non ha precedenti - l’esercizio provvisorio non è una novità, a Roma. Obiettivo minimo: evitare che, se si vota a giugno per le Politiche scatti l’election day con Roma. D’altro canto anche il Pd, con un partito allo sbando nella Capitale sarebbe spiazzato da tale prospettiva. L’ideale sarebbe, per i Dem, un voto politico in estate con il ritorno, intanto, del Commissario a Roma. Una Raggi dimissionaria, insomma, avendo davanti alcuni mesi per trovare una soluzione. Ma Grillo questo regalo proprio non ha voglia di farlo, a Renzi, e per questo è deciso a puntellare e sostenere Raggi con grande determinazione, mettendo da parte dubbi e perplessità. Angelo Picariello

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