sabato 8 agosto 2020
A Giorgio, un papà di Milano, viene negata la possibilità di incontrare la sua piccola di dieci anni e la sorella maggiore di sedici benchè sia stato autorizzato dalla Corte di Cassazione.
«Può incontrare le sue figlie». Ma la sentenza viene ignorata
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Giorgio M., 48 anni, padre separato, "ha il diritto di vedere le figlie". Firmato, la Corte di Cassazione. Tutto risolto quindi, visto che le indicazioni espresse nell’ultimo grado di giudizio non lascerebbero più margine alle discussioni. Si tratta solo di definire il calendario delle visite. E, visto che i due genitori, come purtroppo spesso accade, hanno alzato tra loro barriere di incomunicabilità, la parola passa al Comune di Milano che è stato formalmente, prima della sentenza definitiva, l’ente affidatario delle piccole.

I servizi sociali dovranno stabilire come e quando. La sentenza è stata pronunciata il 19 settembre scorso e depositata il 21 gennaio di quest’anno. Giorgio, che è docente universitario di diritto e sa come muoversi nell’arcipelago insidioso della legge, chiede ragioni della lunga attesa. Dopo otto mesi di vane richieste per la compilazione di un calendario di incontri che richiederebbe, a tirare per le lunghe, dieci minuti di lavoro, arriva la risposta dell’assistente sociale: "Non possiamo farlo, le sue figlie non desiderano incontrarla ".

Ma come? La sentenza della Cassazione non è un’opinione. E compito dell’assistente sociale sarebbe proprio quello di ristabilire un clima adeguato per la ripresa degli incontri. Possibile che il Comune di Milano si renda complice di un’ingiustizia che contravviene addirittura una decisione della Corte di legittimità? Sarà quindi inevitabile avviare un nuovo procedimento giudiziario per far rispettare la sentenza e il diritto alla bigenitorialità? Giorgio allarga le braccia. Dopo aver sperimentato, proprio lui che conosce e insegna Diritto, come può essere inumana e ingiusta l’applicazione letterale della legge – "summa lex, summa iniuria", scriveva Cicerone nel "De Officiis" – trova sempre più difficile trovare le energie mentali, e soprattutto economiche, per continuare a battersi.

Ma visto che il suo unico obiettivo è quello di colmare il profondo fossato scavato per separarlo dalle figlie, di 10 e 16 anni, non intende mollare. Su queste pagine ci siamo già occupati della vicenda cinque anni fa, quando abbiamo riferito che il Comune di Milano, o meglio i servizi sociali che governavano la “limitazione educativa” imposta ai genitori anche in materia religiosa, avevano bloccato la richiesta avanzata dal padre di battezzare le figlie. Uno dei tanti “divieti” e delle infinite limitazioni sopportate da Giorgio che sembra aver concentrato in sé tutti i risvolti peggiori di un sistema giudiziario che sa essere arcigno e implacabile soprattutto con le persone oneste.

A otto anni da una separazione conflittuale, questo padre si trova, sotto il profilo giudiziario, nelle stesse condizioni del peggior delinquente. Privato del diritto della libertà personale (il Questore di Milano ha annullato i suoi documenti personali); del diritto di voto (il Comune di Milano ha cancellato il suo nome dalle liste elettorali); del diritto di essere retribuito come professore (il Tribunale ha consentito l’espropriazione dell’80% dello stipendio e l’Università si è incredibilmente conformata). A rendere ancora più assurda una situazione kafkiana, è arrivata anche la sentenza della Cassazione che, mentre concede il “diritto” di vedere le figlie – possibilità rimasta per ora sulla carta – sembra annullare tutti i principi stabiliti dalla legge sull’affido condiviso (legge 54 del 2006) per ripristinare il vecchio modello monogenitoriale.

Una ostilità storica, quella della Suprema Corte che da un lato non ha mai consentito il decollo dell’affido condiviso – tanto da rendere necessaria una riforma di cui si parla da anni senza mai arrivare al traguardo – dall’altro perpetua abitudini che sembrano la negazione di quel diritto alla pari responsabilità educativa dei genitori separati auspicato dalla giurisprudenza. Ma nella sentenza di cui è rimasto vittima ancora una volta Giorgio, le contraddizioni sono davvero tante. A cominciare dalle disposizioni espresse verso le due figlie a cui era stato vietato di avere contatti con il compagno della madre, ignorando che le due ragazze trascorrono quattro mesi l’anno presso il bagno dove l’uomo lavora e che alloggiano nella sua abitazione.

Oppure la distruzione volontaria delle videoregistrazioni dei colloqui da parte degli esperti incaricati della cosiddetta Ctu (consulenza tecnica d’ufficio) dopo il deposito. Così che agli avvocati di Giorgio viene impedito di visionarle e i giudici della Cassazione non ci trovano nulla di strano. Ma ciò che più preoccupa sotto il profilo costituzionale, come sottolinea un esperto come Marino Maglietta, "è lo sconfinamento nelle sfere di competenza individuale del cittadino".

Si asserisce (ma sulla base di mere dichiarazioni di assistenti sociali) che le figlie, nel poco tempo trascorso con il padre, vengono spesso lasciate ai nonni. Ma, a parte il fatto che i nonni hanno pienamente il diritto di vedere i nipoti, "è l’interferenza con l’organizzazione familiare e con scelte che sono anche educative e la relativa censura - sottolinea ancora Maglietta - che risulta inaccettabile (quantomeno in uno Stato di diritto)". Nulla di strano, purtroppo, per uno Stato che assiste senza muovere ciglia a questa serie di mostruosità giuridiche e che non trova scandaloso che da otto anni un docente universitario si trovi a vivere, sommate tutte le decurtazioni imposte dalla legge in modo inappellabile per assegni di mantenimento e altri “obblighi”, con uno stipendio sotto la soglia di povertà. E a ciò si aggiunge la beffa di non vedere le figlie.

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