venerdì 20 luglio 2012
Il premier Monti non ha mai considerato l'ipotesi di una crisi pilotata. In precedenza aveva riconosciuto i rischi di contagio connessi alla crisi spagnola, ma «non da oggi», rilevando poi che è «deludente» l’andamento dei tassi, ma ricorda che a novembre 2011 lo spread era più alto, a quota 574. Il messaggio ai partiti: guai se allentassero «l’impegno e il ritmo decisionale» sui decreti.
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​Il premier Mario Monti non ha mai preso in considerazione l'ipotesi di interrompere anticipatamente la legislatura attraverso una crisi pilotata. È quanto riferiscono fonti di palazzo Chigi, interpellate a proposito dell'articolo apparso oggi sul Corriere della sera.Ieri il premier si erapresentato dinanzi alla stampa a ora di pranzo solo per mettere nero su bianco la sua versione sulla risalita sino a 500 punti del differenziale tra Bot e Bund tedeschi, una versione da contrapporre a quella dei media di area-centrodestra. «Il contagio da parte della Spagna è in corso, e non da oggi», si fa scappare il premier. E lo spread, confessa, nei suoi otto mesi a Palazzo Chigi è sceso in modo «deludente» rispetto alle aspettative. Ma le colpe non sono sue, come scrivono le pagine dei giornali che ha portato a mo’ di appunti in conferenza stampa.Il suo giudizio è tranciante: «Sono fantasie fuorvianti ad alto tasso di emotività e basso realismo». Quanto al contagio in corso, dice, l’esecutivo ha almeno portato un risultato: «L’Italia non è più soggetto pericoloso verso gli altri. Anzi, coopera attivamente perché l’Europa si doti di strumenti di lotta più efficaci». Il non-detto di Monti è che un anno fa Roma non era parte della soluzione, ma epicentro del problema. E nonostante il famigerato spread torni intorno alla soglia simbolica dei 500 punti, il confronto con l’esecutivo-Berlusconi gioca ancora a suo favore: «Faccio notare – è la sua reazione a chi nel Pdl dice "tanto valeva restare con Silvio" - che quando siamo entrati in carica, a novembre scorso, il differenziale era a 574. L’anno prima era a 160. In dodici mesi c’è stato un aumento di 414. Oggi abbiamo una riduzione di 84 punti».La diminuzione è «deludente», certo, specie perché dalle misure per il risanamento ci si auguravano «effetti positivi» a più stretto giro. La strada per il pareggio di bilancio, però, non è a rischio. Dunque non ci sarà nessuna «nuova manovra», né tantomeno provvedimenti d’urgenza da approvare nel temuto mese di agosto. Al contrario si insisterà sulla spending review, che entro la pausa estiva arriverà alla terza puntata contenente la sforbiciata dell’economista Francesco Giavazzi agli incentivi per le imprese («Ma come usare quei soldi lo decidiamo noi, dobbiamo evitare l’aumento Iva anche dal giugno 2013», replica Monti allo stesso studioso che già ne indicava la destinazione a mezzo stampa) e quella di Giuliano Amato ai costi della politica. Il percorso non cambia, e per ribadirlo Monti rivela che nel recente incontro con Giorgio Napolitano non si è parlato di alcuna «emergenza d’agosto», ma di «prospettive della situazione politica». Nella sua strategia antincendio gli viene in soccorso il ministro tedesco delle Finanze Schaeuble: «L’Italia non avrà problemi», dice in un’intervista a Le Figaro smentendo l’ipotesi che l’Italia sia la prossima vittima della speculazione.Cosa Monti intende con «prospettive politiche» lo si capisce poco dopo, quando lancia un appello a Berlusconi (e Alfano), Bersani e Casini: sì, dice, il primo fattore della crisi sono le «insufficienze nella governance dell’Eurozona», il vizio di non tradurre le decisioni (specie quelle del 28-29 giugno sullo scudo antispread) in «meccanismi operativi». Ma la seconda chiave di lettura - certificata anche dall’ultimo outlook negativo di Fitch sul rating italiano - è «l’incertezza del quadro politico». Su questo punto è lapidario: «Il futuro è ignoto, più i partiti in campagna elettorale si terranno dentro una logica di appartenenza all’Ue più il mondo e i mercati saranno rassicurati». Guai, invece, a prendere le distanze dalle riforme e giocarsi la partita su «fiammate inflazionistiche e disavanzi». E ancora, guai se i partiti allentassero «l’impegno e il ritmo decisionale» sui decreti da convertire. Il crescendo si chiude con un’ulteriore esortazione a «trovare l’intesa sulla legge elettorale». L’intera road map, spiega, serve per «farcela da soli», senza chiedere aiuto a Ue, Bce ed Fmi, perché «sul piano internazionale chi tende la mano è trattato diversamente di chi fa leva sulle proprie forze...». E in questo senso anche i sindacati sono chiamati alla responsabilità, senza inseguire la deriva spagnola.Il premier, ancora giornali alla mano, nega la possibilità dettata di varare una patrimoniale, e si ferma su un articolo in cui si profetizza un «ventennio» montiano. Non gli piacciono né la dizione né il contenuto: «Vogliono dire che ci vorranno 20 anni per rispettare gli obiettivi sul debito pubblico. È vero, ma quella condanna l’ha firmata Berlusconi, non io...».
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