Sono come un fiume carsico che scorre sotterraneo: c’è sempre ma lo si nota solo quando - e se - emerge, quando sale alla ribalta per un breve tratto. L’invisibilità è il destino degli infermieri e della loro professione, relegati al mondo dell’indistinto dal ruolo gregario che da sempre viene loro attribuito, condannati a non avere a livello sociale la stima che meriterebbero: tutti ricordano il nome del medico che li ha curati, chi sa elencare quelli degli infermieri che lo accudivano in reparto? Eppure sono questi professionisti - da anni, il lavoro richiede una laurea - che rendono accettabile la vita del paziente ospedalizzato, che lo accudiscono nei bisogni quotidiani mettendo le loro mani al servizio di chi è incapace di compiere gesti banali in salute ma inarrivabili nella malattia. Gli infermieri con passione e compassione sono a fianco del malato: non lo curano, se ne prendono cura. Confinati a fare da spalla ai medici - laureati ben più illustri nell’immaginario collettivo - dovrebbero esserne a tutti gli effetti partner alla pari, nel rispetto delle competenze di ciascuno. Non è così. Anzi, le cose sono andate via via peggiorando nel corso degli ultimi anni: per rispondere all’ormai cronica carenza di infermieri, le amministrazioni ospedaliere hanno introdotto nelle corsie figure non professionali - operatori socio-sanitari e operatori tecnicoassistenziali, spesso con istruzioni disomogenee - che non sono in grado di rispondere ai complessi bisogni dei pazienti. Perché non sono infermieri ma basta un camice bianco - come tali vengono percepiti dagli utenti. E la confusione impera.Ma «Senza infermieri non c’è futuro»: se la appunteranno sul petto la protesta - gli infermieri - e sfoggeranno sul taschino per tutta la settimana, fino al 20 marzo (e, poi, dal 9 al 14 maggio), un cartellino con una frase che ha la sintesi dello slogan e la forza della verità. La mobilitazione parte dal Cnai, la Consociazione Nazionale delle Associazioni Infermieri, che invita a partecipare tutti gli infermieri ma anche i cittadini e le loro associazioni, le associazioni del volontariato e tutte le Ong e le Onlus coinvolte nei servizi alla persona. Sul sito del Cnai (www.cnai.info) si possono stampare il cartellino e locandine da esporre ma anche sottoscrivere un comunicato di denuncia.In pratica, il fiume carsico ha deciso di emergere e lo fa protestando ma anche - e soprattutto - proponendo: «Gli infermieri possono fare realmente la differenza nella vita delle persone, in ospedale certamente ma anche e soprattutto fuori dalle corsie, sul territorio. Il nostro scopo è informare i cittadini - spiega Cecilia Sironi, consigliera nazionale del Cnai - non solo su chi sono e che cosa fanno gli infermieri che operano ogni giorno nelle strutture sanitarie pubbliche e private del nostro Paese ma anche e soprattutto cosa potrebbero fare e non viene consentito loro di farlo».I temi sul tavolo sono parecchi: «La popolazione sta invecchiando a vista d’occhio e la percentuale di anziani in Italia è destinata a una crescita continua - spiega Sironi - con un conseguente aumento delle persone affette da patologie multiple, della prevalenza di malattie croni- che. Ma queste caratteristiche di anzianità e cronicità richiederebbero innanzitutto interventi di assistenza infermieristica domiciliare. Al contrario, la scelta cade quasi sempre sull’ospedalizzazione». E qui il serpente comincia a mordersi la coda… «La necessità di controllare i costi - prosegue l’infermiera, trent’anni di professione alle spalle - riduce i tempi di ricovero e si finisce per dimettere persone con un elevato numero di problemi che richiederebbero un’assistenza specializzata ». Ma un problema considerato troppo lieve per un ricovero non è mai altrettanto lieve per chi lo vive sulla propria pelle: l’incontinenza o le lesioni da decubito, una ridotta mobilità ti cambiano la vita. «La necessità di percorrere la strada della dimissione precoce dovrebbe spingere a organizzare servizi di vicinanza territoriale ai cittadini. Da anni prosegue Cecilia Sironi - si parla di medicina di comunità, di infermiere di famiglia, di assistenza domiciliare ma i servizi effettivamente presenti e funzionanti risultano assolutamente disomogenei sul territorio nazionale. In certe zone sono previsti, in altre totalmente sconosciuti. Alcuni sono efficienti, altri carenti».È innegabile la fiducia che gli infermieri sanno suscitare nei confronti dei tanti cittadini che si trovano a dover ricorrere al servizio sanitario in qualche momento prima o poi tocca a tutti… - della loro vita. A questa fiducia adesso fanno appello gli infermieri: «Vogliamo che tutti siano consapevoli dei rischi a cui andiamo incontro. Noi siamo parte della soluzione del problema - conclude Sironi - perché gli infermieri possono realmente fare la differenza nella vita delle persone».
SECONDO L'OCSE MANCANO ALMENO 100MILA PROFESSIONISTIL’ultimo rapporto Ocse conferma che nel nostro Paese prosegue il sottodimensionamento degli infermieri: mancano all’appello tra i centomila e i centodiecimila professionisti perché l’Italia possa considerarsi in linea con gli altri Paesi occidentali . I dati pubblicati sul sito dell’Ocse ci vedono ancora agli ultimi posta nella classifica, seguiti da Slovacchia, Ungheria, Polonia, Portogallo. In compenso continua a crescere il numero dei medici, loro sì in sovrappiù: per riequilibrare il rapporto medici/infermieri e portarlo a livello della media degli altri Paesi membri dell’Ocse, in Italia ci dovrebbero essere tre infermieri per ogni medico. Invece non ce ne sono neppure due (la media è 1,9). La professione non riesce ad attirare i giovani anche se in tempi in cui la crisi economica si fa sentire e le assunzioni crollano in picchiata, il settore resta l’unico a garantire un lavoro sicuro subito dopo la laurea. Le facoltà di Infermieristica fanno il pieno di iscrizioni e ci sono persino molti più candidati che posti a disposizione ma si tratta spesso di una seconda o di una terza scelta, un ripiego per non restare senza un posto nel caso non si passassero le selezioni nella facoltà d’elezione. Tra chi frequenta i corsi - i dati arrivano dalla Federazione Ipasvi, la Federazione dei Collegi degli infermieri - meno di due studenti su tre arrivano alla laurea: il tasso di conseguimento è stimato non superiore al 62-65%). A questi ritmi bisognerebbe aspettare il 2022 per vedere il colmato il gap con gli altri Paesi occidentali.