venerdì 15 febbraio 2019
Si riapre il dibattito sulle politiche di contrasto allo sfruttamento. «Sono lavoratrici autonome, devono emettere fattura» La Liga frena, insorge l’associazionismo cattolico. «Sono vittime»
In Consiglio regionale la proposta: l'albo choc delle prostitute
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Un albo comunale delle prostitute. Con l’obbligo, da parte delle stesse, di emettere la fattura e di pagare le tasse. Apripista, di tanta rivoluzione, il Veneto, la regione in cui già 30 anni fa il volontariato cattolico, sostenuto dalle diocesi, avviava le prime case di accoglienza delle vittime della tratta che volevano liberarsi di questa schiavitù.

Alberto Guadagnini, consigliere regionale 'indipendentista' («Siamo Veneto» è il suo gruppo di riferimento) ha depositato ieri in Commissione Sanità del Consiglio regionale una proposta di legge che si pone l’obiettivo di trasformare le 'lucciole' in lavoratrici autonome, anche associate tra di loro, togliendole dalla zona grigia dello sfruttamento di strada per farne delle imprenditrici a tutti gli effetti con il diritto di ricevere un giusto compenso e il dovere di emettere regolare fattura. Il primo «no», guarda caso, è arrivato dalla Lega, azionista di quella maggioranza di cui Guadagnini fa parte. «Non c’è ancora una legge nazionale e noi andiamo a perdere tempo in regione con iniziative propagandistiche? No» afferma perentorio Antonio Da Re, segretario della Liga veneta.

E rotondo è il «no» anche dall'opposizione. «Abbiamo ben altro a cui pensare – afferma Roger De Menech del Pd –. E, in ogni caso, siamo contrari a legalizzare la schiavitù ». Guadagnini si appella alla Corte di Cassazione che, come lui stesso ricorda, «ha dichiarato la prostituta una 'libera professionista' con il diritto di ricevere giusto compenso e dovrebbe emettere fattura con partita Iva». E la stessa Corte in un’altra sentenza ha dichiarato come la prostituzione tra adulti «deve essere soggetta a tassazione poiché attività lecita». Ma ad oggi – evidenzia Guadagnini – queste sentenze sono state totalmente disattese. Oggi si stima che in Italia siano oltre 70mila le donne che si prostituiscono, quasi la metà delle quali straniere; il 65% in strada senza alcuna forma di protezione. Il giro d’affari è quantificato in 25 miliardi di euro, con 9 milioni di clienti all’anno. «Ciò significa che se questi 25 miliardi venissero fatturati, ci sarebbero introiti fiscali miliardari per lo Stato».

Bontà sua, l’esponente di 'Siamo Veneto» mette in conto l’inasprimento del codice penale con «l’ergastolo per chi sfrutta la prostituzione minorile con multe fino a 500mila euro e 15 anni di reclusione e fino a 100mila euro di multa per chi istiga e costringe alla prostituzione ». Concede, pure, «il rispetto del diritto alla riservatezza degli interessati» per chi si iscrive all’albo e la cancellazione in caso di cessazione dell’esercizio.

Per don Davide Schiavon, direttore della Caritas di Treviso, che iniziò 30 anni fa ad aiutare le vittime della tratta, «la maggior parte di queste donne è costretta a prostituirsi e quindi è vittima. Altro che imprenditrici di se stesse – commenta –. Sono rese schiave dalla criminalità organizzata e dai clienti che sfruttano la loro condizione di vulnerabilità». Con queste proposte di legge, aggiunge il sacerdote, si ritorna ai tempi bui. Solo pochi giorni fa, a Verona, 5 vescovi e centinaia di persone da tutto il Nordest partecipavano ad una veglia di preghiera contro la tratta. «Auspichiamo che la Regione – afferma uno degli organizzatori, Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII – adotti le misure necessarie per liberare le migliaia di donne, tutte provenienti da Paesi poverissimi, che in Veneto ogni notte sono costrette a soddisfare le turpi richieste dei clienti italiani». Per Ramonda non ci sono dubbi. La soluzione più efficace – spiega – non è regolare il fenomeno ma contrastare la domanda, con sanzioni e misure rieducative per i clienti.

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