sabato 28 novembre 2020
Iniziativa dell'associazione Ti con Zero tra narrazione, arte e viandanze
Il rumore del carcere è il rumore del ferro. Spettacolo e progetto

E’ una questione di tempo. Rallentato, allungato, dilatato. Minuti che si trasformano in ore, giorni in mesi, anni in generazioni. Un tempo così vuoto e così lento da fermarsi. Vite immobili consumate in surplace. E’ quello che, tutti, oggi, un po’, almeno un po’, stiamo vivendo nel confinamento, nell’isolamento, nella solitudine, nella clausura. E che dà un’idea, per quanto superficiale e approssimativa, della dimensione psichica di chi viene privato della libertà.

Gabriele Benedetti, attore e autore di spettacoli teatrali (e anche televisivi e cinematografici) da trentun anni (“Meno uno, l’ultimo, rimasto sospeso, anch’esso immobile e consumato in surplace”), per obbedire ai provvedimenti contro la diffusione del Covid-19, ha tradotto la performance “live” in un video “costruito”: “Il rumore del carcere è il rumore del ferro”. Tema, argomento, materia: la solitudine. “Il luogo è diventato l’ex manicomio di Udine, nelle sue parti più abbandonate ma agibili, i padiglioni femminili, le celle segnate dal degrado. I testi sono quelli dei detenuti, un viaggio dentro, nel profondo, nell’intimo”.

Non è nuovo, Benedetti, a lavori che scavano in chi è stato spogliato e chiuso. “Tre anni fa, nel carcere di massima sicurezza a Tolmezzo, uno spettacolo con i detenuti – ricorda -. C’erano 14 cancelli che separavano corridori e garritte. E 14 orologi che scandivano e sillabavano il tempo. I 14 cancelli aperti e subito sprangati. E i 14 orologi fermi, ma tutti a orari diversi. I 14 cancelli, con quel clangore metallico di chiavi. E i 14 orologi, muti”. Ancora Benedetti: “Ai detenuti domandai che cosa volessero da quello spettacolo. La risposta all’unanimità: allegria”.

“Il rumore del carcere è il rumore del ferro” è dedicato a Maurizio Battistutta: “Da volontario a garante dei diritti umani dei detenuti, fondatore dell’associazione Icaro, morto nel 2017. Lui voleva restituire dignità, rispetto, il giusto senso dello scorrere del tempo”. E fa parte di “Alla fine della città”, il progetto triennale dell’associazione Ti con Zero tra narrazione, arte e viandanze, fino al 30 novembre, stavolta – causa Covid-19, in versione digitale, con video e tutorial, incontri virtuali e racconti radiofonici. Il primo anno c’è un verbo che coniuga le diverse iniziative: accendere. Accendere un gesto, un’idea, un’emozione, un registratore, un territorio. Nel caso dell’opera di Benedetti, accendere una luce.

Il programma delle ultime iniziative di Ti con Zero, Alla fine della città. Narrazioni, arte e viandanze

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