martedì 20 agosto 2013
Ormai sono in gran parte siriani ed egiziani i passeggeri dei barconi in arrivo in Sicilia. Da Damasco in fuga in 30mila persone in pochi giorni. Ci sono due modi per raggiungere l’Europa: con i trafficanti iracheni, via terra, oppure con quelli egiziani, via mare. (Inchiesta di Susan Dabbuos)
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Ormai sono in gran parte siriani ed egiziani i passeggeri dei barconi che approda­no con impressionante cadenza sulle coste siciliane. Ieri sono arrivati quattro na­tanti: due intercettati a Largo di Lampedusa e Aci Castello (Catania) mentre gli al­tri giunti fin sulla costa a Torre Salsa (Agrigento) e nella spiaggia di San Lorenzo a Noto (Siracusa). «Quello che sta succedendo in Egitto porta questa gente a cercare un porto sicuro da prendere come rifugio», ha detto Giacomo Salerno, vice co­mandante della Capitaneria di Porto di Catania, che ha coordinato i soccorsi a lar­go del centro marinaro catanese. «Ieri mattina è stata avvistata l’imbarcazione con a bordo 99 persone, egiziani e siriani, tra cui 11 donne, di cui una incinta e 17 bam­bini », ha aggiunto. La notte precedente invece era approdato nella spiaggia siracu­sana un barcone con circa 150 migranti. Le forze dell’ordine ne hanno rintracciati 126, tra cui una quarantina di bambini ed altrettante donne che hanno detto di es­sere di siriani. Il gruppo interforze per il contrasto all’immigrazione clandestina i­stituito nella Procura ha fermato tre egiziani che dovrebbero essere gli scafisti, men­tre carabinieri e polizia cercano le altre persone che si sono disperse. I migranti hanno raccontato di essere partiti sei giorni fa con una nave e di essere stati trasfe­riti sul barcone l’ultimo giorno di navigazione. Sono quindici le persone fermate dai carabinieri a Torre Salsa che farebbero parte di un gruppo di una trentina di extra­comunitari sbarcato la notte tra domenica e lunedì. Secondo i loro racconti un bar­cone li ha lasciati sotto costa e ha poi ripreso il largo. Altri 77 migranti, ghanesi e ni­geriani, erano stati soccorsi ieri mattina a circa 40 miglia a sud di Lampedusa su un piccolo gommone e portati sull’isola da una motovedetta della Guardia costiera.E dalle indagini avviate dopo l’arrivo di 110 immigrati salvati nel canale di Sicilia da un mercantile poi giunto a Pozzallo (Ragusa), l’8 agosto scorso la squadra mo­bile ragusana ha scoperto che due pakistani caduti in mare prima del salvataggio sono stati lasciati morire in acqua dagli scafisti, «Compagnia seria e fidata offre servizi per viaggi in Europa a partire da mille euro». Attirato da un annuncio letto nella toilette di un bar di Antakya, nel Sud della Turchia, Bakri F. ha deciso di mettere mano al telefono e allertare la sua famiglia in Siria: «Raccogliete i soldi, vado in Svizzera». Peccato però che «mille euro era solo il costo del “servizio” – spiega l’uomo originario di Latakia – e per Europa si intendeva solo la Grecia». Pagando ben oltre mille euro, Bakri è arrivato ad Atene da dove gli era stato promesso di andare in Italia “via mare”. Condizione necessaria era però recarsi prima a Creta dove scafisti egiziani sarebbero venuti a prendere i migranti. «Ho pensato che non saremmo mai arrivati – ammette – ho avuto paura e ho trovato il modo di andare in Svizzera in camion, anche se era più costoso». Il viaggio sarebbe costato in totale 14.000 euro. Dal racconto di Bakri, e dai dati Frontex, l’agenzia europea per la protezione delle frontiere, si evince quindi che esistono due modi per raggiungere l’Europa per i profughi siriani: via terra, il che significa rimettersi nelle mani dei trafficanti iracheni, o via mare dove il business è in mano agli egiziani. L’Italia diventa così una meta obbligata di passaggio per chi sceglie di sfidare il Mediterraneo. Un viaggio di cui spesso non si conoscono i pericoli: «Vivo in Svezia da quattro anni – racconta Radwan F. un operaio specializzato originario di Aleppo – e credo che sia giunto il momento di far venire qui i miei genitori. Prima però faccio venire mio fratello». Un giovane di 24 anni pronto a fare da cavia. Radwan ha messo da parte più di 10mila euro per questo viaggio. E sembra più preoccupato dei controlli da evitare dall’Italia alla Svezia che delle insidie del mare. Conosce il destino di quei sei migranti egiziani annegati vicino alle coste di Catania il 10 agosto scorso. «Una fatalità, ma io sono sicuro del mio contatto». E qui cala il mistero, Radwan non ci dice di chi si tratta, ma una cosa appare invece evidente: i genitori dovranno prima arrivare in Egitto. Un viaggio che dalla Siria si può ancora fare, basta prendere un volo dalla Turchia, dal Libano e Damasco stessa (dove l’aeroporto è ancora in funzione). Facciamo notare a Radwan che per i genitori sarebbe molto più semplice fuggire in Turchia, che da Aleppo dista meno di 50 chilometri. «Per fare cosa? Per vivere come profughi?» dice amaramente. A due anni dall’inizio del conflitto la vita nei campi è sempre più dura. La cosiddetta “pressione demografica” impone a centinaia di migliaia di persone di condividere acqua, gabinetti, cibo razionato e tende, dove un tempo ci stava massimo in otto e ora si arriva tranquillamente a ventiquattro persone. E così basta vedere cosa succede nei campi profughi per capire come mai, improvvisamente, i siriani si sono dati alla fuga di massa. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati, Unhcr, conta più di due milioni di profughi oltre confine: mezzo milione in Giordania, 400mila in Turchia, oltre 600mila mila in Libano, e altri 250mila tra Iraq e Egitto.Questi sono i numeri ufficiali, numeri che raccontano la più grande crisi umanitaria (per persone in fuga) degli ultimi venti anni . Quelli reali, invece, fotografano tutt’altra verità. Ci sarebbero oltre un milione di siriani in Libano, un paese grande come il Lazio, dall’estrema fragilità politica, che ha visto crescere la sua popolazione del 20 per cento in due anni. Tanto da aver appena bandito l’ingresso ai palestinesi siriani in fuga dalla guerra. Sono le famiglie che arrivano dal grande campo profughi di Yarmuk, a Damasco. Nel Paese dei Cedri di palestinesi ce ne sono già mezzo milione, progenie di scappò dalla Palestina dopo la guerra del 1948. Cinico a dirsi, ma Beirut ha stabilito “un tetto”, tra l’altro abbondantemente sforato. I palestinesi siriani si sentono gli ultimi tra gli ultimi, «più profughi degli altri», racconta Salim S. 24 anni, originario proprio di Yarmuk, ora rifugiato politico in Svezia. «Sono arrivato a gennaio – dice – e mi sono sorpreso nel vedere quanti siriani ci fossero qui. Pensavo di soffrire di nostalgia e invece ogni volta che vado all’ufficio immigrazione di Malmö trovo gente del mio quartiere». È verso la Svezia infatti che è iniziata già da tempo una fuga silenziosa. Oltre 3.000 richieste di asilo di siriani sono già state soddisfatte nel 2012, altre 18.000 sono in arrivo, numeri ben diversi da quelli italiani dove le richieste dei siriani nel 2012 sono state 385. Numeri che andranno di certo aggiornati alla luce degli incessanti sbarchi di questi giorni, che iniziano ormai a preoccupare anche la Capitaneria di Porto italiana. A destare allerta, oltre ai numeri consistenti, è l’inesperienza di “scafisti improvvisati” che sperimentano nuove rotte usando imbarcazioni moderne che non vogliono perdere. Per questo abbandonano i migranti vicino alla costa, lo fanno perché vogliono tornare indietro, senza curarsi del fatto che spesso i migranti non sanno nuotare.

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