sabato 14 gennaio 2017
Mentre il mondo si prepara a celebrare la Giornata del migrante e del rifugiato, quei minori stranieri a cui il Papa ha deciso di dedicarla rischiano di morire di freddo lungo la rotta balcanica.
(Darko Vojinovic/Ansa)

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Mentre il mondo si prepara a celebrare la Giornata del migrante e del rifugiato, quei minori stranieri a cui il Papa ha deciso di dedicarla rischiano di morire di freddo lungo la rotta balcanica, oramai interrotta da mesi.
«Questo posto non è per esseri umani forse non è neanche per gli animali. Ma che possiamo fare? Io ho fatto troppa strada per arrivare qui, indietro non ci torno. Se mi portano in un centro mi rimandano nel mio Paese. Non posso rischiare, preferisco aspettare, prima o poi si decideranno a riaprire queste frontiere». Sono le parole di Akim, un giovane pakistano che a Belgrado ha cercato riparo nei vecchi edifici abbandonati, a ridosso della stazione. Assieme a lui solo nella capitale serba ci sono altre 2mila persone bloccate al gelo che rischiano di morire per assideramento.


A causare la crisi umanitaria è la cinica noncuranza delle politiche degli Stati europei: se vi si aggiungono le temperature glaciali e la mancanza di preparazione per l’inverno ci si trova davanti a una situazione già insostenibile per migliaia di uomini, donne e bambini da mesi cercano vanamente protezione umanitaria in Europa.

I Paesi lungo la rotta balcanica hanno fatto a gara nell'inasprire progressivamente le misure deterrenti per fermare il flusso di persone a partire da marzo 2016 quando l'Ue ha firmato l'accordo con la Turchia per il respingimento dei migranti e contestualmente tutti gli Stati sulla rotta balcanica hanno deciso unilateralmente di chiudere le frontiere e non applicare più le normative internazionali che garantiscono il diritto alla protezione umanitaria.

Dopo essere stati bloccati dalle politiche europee sulla migrazione, oltre 60mila migranti e rifugiati si trovano ora costretti al gelo in Grecia e nei Balcani, in ripari per nulla adatti alle rigidi condizioni invernali. Coperte termiche, sacchi a pelo, scarpe e indumenti pesanti sono stati distribuiti tra Grecia e Serbia dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) che ha espresso forte preoccupazione per la situazione in cui si trovano rifugiati e migranti a causa delle temperature rigide che stanno tenendo in scacco mezza Europa. «Salvare vite umane dev'essere una priorità ed è urgente che le autorità nazionali di tutta Europa si impegnino maggiormente per assistere e proteggere rifugiati e migranti» è l'appello che si legge sul sito dell'Acnur.


«Almeno la metà delle persone visitate nelle nostre cliniche - ha spiegato Andrea Contenta che lavora con Medici senza frontiere in Serbia - riportava lesioni dovute a episodi di violenza. I metodi di deterrenza estremi non si arrestano e si aggiungono a uno degli inverni più rigidi degli ultimi anni. A Belgrado ha iniziato a nevicare il 3 gennaio. Circa 2mila persone dormono in edifici abbandonati e capannoni industriali, bruciando tutto quello che trovavano per scaldarsi. Inoltre, abbiamo ricevuto segnalazioni della morte per freddo di una donna somala nel sud della Bulgaria e di due uomini iracheni al confine tra Turchia e Bulgaria» e chissà di quante altre persone si sono perse le tracce.


In Serbia, secondo informazioni non ufficiali da parte delle autorità, potrebbero essere più di 8.500 i migranti e rifugiati presenti nel Paese. Nei centri di accoglienza sono 6mila posti disponibili ma solo 3.140 sono adatti all'inverno. Come racconta Redattore Sociale in un reportage dalla capitale serba: «Alcuni hanno fatto domanda d’asilo nel Paese ma gli è stata rifiutata, altri hanno documenti di espulsione, ma una volta arrivati qui non vogliono tornare indietro, altri ancora non sono mai stati registrati».


I transitanti di Belgrado rischiano ogni giorno l’assideramento: le temperature ormai oscillano tra i dieci e i quindici gradi sotto lo zero. Il governo serbo, dal canto suo, sta cercando di convincere i transitanti a lasciare il Paese e non vede di buon occhio il lavoro di assistenza fatto dalle organizzazioni umanitarie. E così ad aiutare queste persone ci pensano soltanto i volontari, come è successo già in altre parti d’Europa: da Roma a Como fino a Idomeni e Calais.

La situazione non è migliore in Grecia dove altre migliaia di profughi sono bloccati dalla neve oltre che dalla cronica mancanza di politiche di accoglienza da parte dell'Europa: a Lesbo il tempo sta migliorando ma il campo profughi di Moria è umido e fangoso e le persone sono al freddo. Molte tende sono distrutte dal peso della neve e della pioggia. A Samos molte persone vivono ancora senza riscaldamento nelle tende in un’area fangosa. La municipalità sta distribuendo coperte, mentre Medici senza Frontiere ha trasferito 23 persone vulnerabili dall’hotspot al proprio riparo d’emergenza, dove ospita attualmente 84 persone (famiglie, donne incinte, neonati). A Salonicco le strade sono ugualmente bloccate dalla neve e le condizioni sono particolarmente dure nel campo profughi Softex dove le tubature sono gelate, non c’è elettricità e il riscaldamento è incostante.

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