venerdì 23 gennaio 2009
Tensione a Milano nell'aula della prima corte d'assise al processo contro le presunte nuove Brigate rosse. Il senatore del Pd: «Da noi chi tocca lo Statuto muore».
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Tensione nell'aula della prima corte d'assise al processo contro le presunte nuove Brigate rosse. Gli imputati hanno inveito contro il senatore Pietro Ichino, giuslavorista, indicato dall'accusa come una parteoffesa e chiamato a deporre. Mentre Ichino spiegava alle parti i motivi che lo hanno indotto a costituirsi parte civile dalla gabbia riservata ai detenuti gli imputati hanno gridato: «Quello è un massacratore di operai. Siete una banda di sfruttatori, volete la libertà per sfruttare». Queste e altre dichiarazioni accompagnate da qualche applauso dal pubblico hanno costretto al corte a ritirarsi dall'aula per consentire agli agenti di polizia penitenziaria di individuare esattamente, quanti tra gli imputati, sono intervenuti e scortarli fuori dall'aula. Il presidente della corte, Luigi Domenico Cerqua, ha dunque deciso di sospendere per alcuni minuti l'udienza dopo che Davide Bortolato ha aggiunto: «Il qui presente Ichino si è costruito la propria carriera criminalizzando i lavoratori».Ichino: «Da noi chi tocca lo Statuto muore». Durante la sua eposizione Ichino aveva detto che «in nessuna parte del mondo il dibattito sul diritto del lavoro rappresenta una minaccia, da noi chi tocca lo statuto muore. Ma un paese democratico non può esserelimitato nella sua possibilità di discutere. Questo rappresenta una grande sofferenza». Nella sua deposizione Ichino aveva chiarito, tra l'altro, di essersi voluto costituire parte civile non tanto per «denunciare le limitazioni alla mia libertà, ma rappresentare le intimidazioni continue che subiscono i giuslavoristi». Il docente aveva poi ricordato, sollecitato dalle domande del pm Ilda Boccassini, come già dal 2005 sia stato costretto a svolgere la sua professione universitaria perennemente scortato da agenti. «La loro presenza - ha affermato - è sempre stata evidente anche in aula, anche quando tenevo lezioni o dibattiti o quando ero nella miastanza personale. E questo significava notificare a tutti, anche agli studenti, che io sono uno che dice cose per le quali c'è chi lo vuole far fuori. E questo limita e altera il rapporto di docente».
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