martedì 14 febbraio 2012
Si sveglia tramortito il Pd, dopo la doppia sconfitta delle due candidate alle primarie di Genova. Nella sfida di coalizione, ancora una volta la spunta il concorrente sostenuto da Vendola, in questo caso Marco Doria. Aspre polemiche interne, saltano i vertici del partito in Liguria.
Quello che le grandi città dicono ai grandi partiti di Sergio Soave
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​A Genova più che di terremoto si deve parlare di alluvione: è quello che sconta il Pd, secondo le voci a Largo del Nazareno, dove si minimizza la sconfitta delle primarie, che hanno premiato il candidato di Sel Marco Doria contro le due democratiche Marta Vincenzi (sindaco uscente) e Roberta Pinotti (parlamentare). Un risultato che «non brucia. Credeteci o no, non brucia», ripete Pier Luigi Bersani, con un sorriso quasi stanco.«È un esito che può lasciare qualche ammaccatura, però bisogna guardare avanti. E al candidato che ha vinto ora tocca farsi carico della pluralità dei contenuti», spiega il segretario del Pd, pronto a sua volta a farsi carico della bagarre del vertice, dove i veltroniani chiedono il congresso straordinario, la sinistra invita a riflettere sul sostegno al governo-Monti, mentre in Liguria rotolano le teste e c’è chi continua a sparare sulle primarie.Il leader democratico si impone di mantenere la flemma, e va avanti, sempre più convinto sostenitore dell’esecutivo: «Sono gesti che aiutano la discussione, aiutano a fare il punto per poi ripartire. Ora vediamo, ci sarà il chiarimento necessario e gli organismi decideranno». Detto questo, «invito ad andarsi a vedere quante primarie abbiamo vinto come Pd, da Piacenza a Pistoia», con tanto di successo di «partecipazione». Anzi, incalza Bersani, «la mia impressione è che in questa fase ci sia comprensione per le nostre politiche. Sono piuttosto orgoglioso di un Pd che riesce ad attivare nel Paese cose come queste, che generano anche scompensi ma sono segno di partecipazione».E allora, con il suo fare che tanto successo ha regalato al comico Crozza, Bersani rilancia lo strumento con cui da anni i democratici selezionano i propri candidati. Perciò «quando si accetta che alla gara partecipino più candidati del Pd, poi se ne devono accettare gli esiti». Ma, aggiunge per completare il quadro, «sarebbe cosa buona, logica, normale, che il Pd selezionasse la sua candidatura per le primarie di coalizione con una selezione interna. Questa è sempre stata la mia convinzione: in alcune situazioni varrebbe la pena di attuare un meccanismo di questo genere». E qui sarebbe l’errore, secondo i bersaniani. Presentarsi con due candidature alla pari è stato il vero segnale di divisione interna, che ha portato alla sconfitta. Adesso non resta che «accettare il risultato delle primarie di Genova e sostenere Marco Doria», taglia corto il vicesegretario del Pd Enrico Letta, che però qualche risentimento lo mostra: «Ma c’è una lezione da trarre: a Genova il Pd paga un prezzo per essersi presentato diviso e per aver sottovalutato il giudizio non positivo dei cittadini genovesi su come è stata governata la città in questi anni». Ma, aggiunge, «queste riflessioni non si fanno il giorno dopo un insuccesso».Se dunque i vertici del Nazareno non danno peso a chi chiede un congresso straordinario in piena fase di emergenza, con un governo che sta fronteggiando la crisi, i veltroniani esigono quanto meno «una riflessione profonda alla quale il nostro partito sarebbe meglio che si affacciasse con la dovuta umiltà, senza indulgere con se stesso derubricando le critiche di queste ore e senza demonizzarle come attentati ad una fantomatica unità i cui contorni, invece, sono sempre più simili a quelli dell’unanimismo».Convinti che le primarie non siano la causa della batosta, Matteo Renzi e Pippo Civati nelle loro divergenze sono certi che «il problema è di offerta politica». Certamente «fatte così le primarie danno ragione a Enrico Mattei», incalza Marco Follini: «I partiti sono come taxi: salgo, pago, scendo». Non si ascolta la gente, accusa il sindaco di Bari Michele Emiliano, convinto che «Vendola oggi ha un altro scalpo attaccato alla cintola». E questo dovrebbe far voltare il Pd verso il Terzo polo.Proprio per evitare frizioni, il leader di Sel non affonda, ma, soddisfatto, invita a leggere il risultato come «una domanda di rinnovamento. Dobbiamo costruire il cantiere dell’alternativa», secondo Nichi Vendola.
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