martedì 15 settembre 2020
La vicinanza a diseredati, migranti, emarginati costò la vita anche a un sacerdote calabro. Il 15 settembre del 1993 l'assassinio del beato Puglisi
I funerali di don Beretta, nel gennaio del 1999 a Como

I funerali di don Beretta, nel gennaio del 1999 a Como - Ansa

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L'uccisione di don Roberto, prete dei poveri, da parte di un migrante sconvolge Como. Ma non è la prima volta che la città, frontiera per la Svizzera e passaggio verso il Nord Europa, viene funestata da un simile lutto. La Chiesa comasca ha ben vivo il ricordo di don Renzo Beretta, parroco di Ponte Chiasso, ucciso da un uomo che si era rivolto a lui chiedendo aiuto.

Era il 20 gennaio del 1999. Don Renzo cadde sotto i colpi di un immigrato di origine nordafricana che non aveva accettato “ritorna dopo” come risposta: uno dei tanti che in quei mesi aveva bussato alla sua porta. In quel momento, però, il sacerdote non poteva, era impegnato nelle attività della parrocchia e gli aveva chiesto di ritornare. Caduto a terra sotto il colpo di un coltello, il sacerdote riuscì a dire a chi l’aveva soccorso: “Non è nulla, voleva solo spaventarmi…”.

Pochi mesi prima di morire, aveva scritto: “Non sono un romantico: siamo persone, siamo cristiani, conosciamo il detto del Signore: ‘Quanto hai fatto a uno di questi, l’hai fatto a Me’. Io, prete, qui, devo essere, almeno, la Sua Ombra… Non posso barare. E chi, e quale legge ci può impedire di ‘aiutare’ questa gente allo sbando?”. Arrivavano molti, allora soprattutto dai Balcani, a bussare alla parrocchia per un aiuto. In tasca avevano due righe di don Beretta, che chiedeva per loro.

Nel suo testamento spirituale, il sacerdote scrisse: “Quello che ancora ho, non mi è mai appartenuto. Ho ricevuto tutto, tutto appartiene a chi è nel bisogno”. Oggi è intitolato a lui il servizio Porta Aperta, inaugurato l'anno scorso dalla Caritas di Como, con lo sportello migranti, la mensa, il dormitorio.

Padre Lazzaro, ucciso in Calabria nel 2014

Quelle di don Roberto e di don Renzo, però, non sono testimonianze vissute solo a Como. Un'altra vicenda ugualmente toccante è accaduta in Calabria, dove il 3 marzo del 2014 padre Lazzaro Longobardi, dopo una vita spesa per i poveri, venne barbaramente ucciso da una persona che voleva aiutare. «Ha dato la vita per quei poveri per i quali si era sempre speso con tutte le sue energie», disse il vescovo di Cassano all’Jonio, monsignor Nunzio Galantino, allora segretario generale della Cei. Per padre Lazzaro il Vangelo erano i giovani, gli ultimi, gli emarginati, in particolare gli immigrati che nei campi della piana di Sibari vengono sfruttati, come manodopera a basso costo, costretta a vivere in baracche e catapecchie. A loro padre Lazzaro apriva il cuore e la casa. Qualcuno, purtroppo, ne approfittò.

Il 15 settembre del '93 l'uccisione del beato Puglisi

Il sangue dei sacerdoti è stato versato anche per mano della criminalità organizzata. Non solo in America Centrale o in Africa, ma anche nella nostra Italia. Proprio oggi ricorre l'anniversario dell'uccisione di don Pino Puglisi, beato. Era il 15 settembre 1993. Così lo ricorda Nicola Morra, presidente della commissione parlamentare antimafia: "Veniva ucciso da Cosa Nostra il parroco di Brancaccio, quartiere tristemente famoso a Palermo per essere stato il feudo prima dei Contorno e poi dei Graviano. L'allora Cardinale di Palermo spiegò la morte di don Pino in maniera semplice e drammaticamente vera: "...era uno che faceva il suo dovere". Se tutti, preti e non, laici e credenti, atei e devoti, facessimo il nostro dovere di esseri umani e cittadini, la mafia sarebbe solo oggetto di film di fantascienza, anche di pessimo gusto. Se tutti facessimo il nostro dovere....".

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