sabato 16 maggio 2020
Crescono le segnalazioni di aziende che si vedono rigettare la pratica. L'Abi parla invece di «decisa accelerazione» delle richieste. Ed è polemica su istanza di Fiat
Prestiti, fondi per le Pmi in esaurimento. E Fca chiede 6,3 miliardi
COMMENTA E CONDIVIDI

Si riapre, si riapre... anche perché i soldi stanno finendo? Il sospetto può venire, a sentire i racconti dei labirinti burocratici senza fine che portano diversi italiani a scontrarsi con un "muro" sui prestiti fino a 25mila euro garantiti al 100% dallo Stato, messi in campo dal "dl Liquidità" del 6 aprile. Dopo i tempi lunghi del bonus 600 euro e il flop della Cassa integrazione, l’ultima frontiera degli aiuti varati dal governo Conte (prima di quelli presenti nel decreto Rilancio) si confronta con una doppia dimensione: il contatore sul sito del Fondo di garanzia gestito da Mediocredito centrale-Mcc scorre a quota 209.865 domande (+25mila domande sul giorno prima) giunte per questi fondi d’importo più basso, per un importo di 4,4 miliardi che ora possono essere finanziati. Che arrivano poi a 11 miliardi, sommati alle altre richieste per operazioni "maggiori". Numeri che fanno parlare l’Abi di «significativa accelerazione della crescita quotidiana» delle richieste inviate dalle banche al Fondo.
In ogni caso, è però appena un terzo rispetto ai 32 miliardi già pagati in Germania alle micro e grandi Pmi. E solo un pallido ricordo della «potenza di fuoco da 400 miliardi» (copyright Giuseppe Conte) che ben presto si è rivelata degna solo di una "500". Gli esperti, d’altronde, l’avevano segnalato subito: per le Pmi in realtà il governo aveva stanziato solo 1,7 miliardi effettivi per le garanzie e, con quei soldi, la capacità operativa del Fondo con l’effetto leva avrebbe superato di poco i 5 miliardi. Non di più.
Le stesse cifre contate dal Fondo sono lette invece - ecco qui la "seconda dimensione" - dalla Cgia di Mestre come la prova di un «fallimento», vista la potenziale platea di oltre 5 milioni di attività che avrebbero potuto fare l’istanza. E che, forse, non lo stanno facendo perché scoraggiate sentendo i racconti di quanti si arenano contro una serie di difficoltà e di "no", in un virtuale collo di bottiglia fra l’istituto creditizio di riferimento e il Fondo.
Ci sono casi emblematici come quello di Vincenzo N., romano di 55 anni, legale rappresentante della Nadif Sas che gestisce una struttura ricettiva di livello in Umbria, a Borgo Campello, chiusa da inizio marzo. Il 27 aprile ha fatto domanda a una filiale di Banco Desio, di cui l’azienda è cliente con un ottimo "rating". Ma, per un errore della banca, ha allegato la dichiarazione Iva 2020 che attesta ricavi 2019 per oltre 124mila euro. Invece la circolare Abi del 16 aprile prevede, per attestare i ricavi, l’ultimo bilancio depositato (quindi quello dell’anno 2018, per il 2019 c’è tempo fino a settembre prossimo) oppure, per i soli soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, un’autocertificazione o la denuncia Iva, appunto. Il risultato, paradossale, lo descrive il signor Vincenzo: «Ho ricevuto mail di conferma dal Fondo di garanzia che l’istanza era arrivata. Poi la sede centrale della banca, con delibera numero 1475, ha autorizzato la mia filiale a erogare dall’11 maggio, col tasso all’1,19%. Ma il 12 maggio il Fondo ha comunicato alla banca che non può garantire il finanziamento in quanto la dichiarazione Iva non è sufficiente». A quel punto, tutto si è fermato. E dei 25mila euro neanche l’ombra. Una vicenda analoga è capitata a un’altra società, la B&T engineering di Foligno. «Con il paradosso – prosegue l’imprenditore – che un’azienda che ha iniziato a operare nel 2019 può chiedere il prestito con la semplice autodichiarazione, mentre una che avesse iniziato a fine 2018 non può ottenere un prestito congruo perché, per ovvi motivi, il suo bilancio 2018 presenta risultati minimi».
Sul piano formale, il respingimento è corretto. Ma la sostanza è che imprese con i conti a posto sono state lasciate col rubinetto chiuso. Sono rifiuti che rischiano di alimentare la rabbia. E che rendono ancora più stridente il contrasto col caso, scovato dal giornale Mf, di Fca intenzionata a far domanda fra i grandi gruppi per ben 6,3 miliardi, garantiti al 70% dallo Stato; richiesta ufficializzata ieri ai sindacati, che a loro volta chiedono garanzie su lavoratori e investimenti. Nulla di irregolare di per sé, ma capace di riaccendere la polemica sulla società degli Elkann/Agnelli che ha sede legale in Olanda e fiscale in Inghilterra.
Le opportunità aperte ai "grandi" fanno risaltare ancor di più i cavilli burocratici frapposti ai "piccoli". Anche se c’è pure chi ha ricevuto regolarmente in 24 ore il prestito garantito, le lentezze della burocrazia hanno attirato gli strali pure della politica. Nei giorni scorsi Antonio Misiani, viceministro del Tesoro, ha attaccato l’«inaccettabile lentezza» del sistema bancario, poi ci hanno pensato pure i ministri Stefano Patuanelli e, da ultimo ieri, Giuseppe Provenzano. Le banche hanno replicato sostenendo che la norma è stata scritta male, senza cancellare i timori di poter finire eventualmente coinvolte nell’eventuale concorso in reati collegati alla bancarotta.
Per tanti piccoli imprenditori resta, però, soltanto l’amarezza di dover far fronte senza aiuti a una situazione inedita. Francesca M., 58 anni, è titolare di un bar-tabacchi a via Prenestina, a Roma, rimasto serrato per quasi 2 mesi. Anche lei ha fatto domanda, a una filiale Bpm, se l’è vista respingere direttamente dalla banca per dei ritardati pagamenti di 5-6 anni fa. «Ma nel commercio "incidenti" simili possono capitare – protesta oggi –, non per questo mi pare giusto negare ora un prestito garantito che ci serve. Davanti a questa pandemia lo Stato dovrebbe essere un "padre" che ti aiuta, invece qui c’è un sistema che ti sbatte le porte in faccia dopo averti impedito di lavorare». In un altro caso un imprenditore si è visto respingere la pratica dalla banca solo perché è alle prese anche con una "rottamazione" di vecchie tasse. Non resta che aspettare i soldi a fondo perduto del "dl Rilancio". Ma senza grandi prospettive, visti i vincoli imposti: un’impresa con 90mila euro di fatturato che avesse avuto zero ricavi ad aprile 2020 contro i 7.500 di aprile 2019, avrebbe diritto a un contributo di appena 2mila euro. Tanto deve bastare nell’era del coronavirus.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: