venerdì 8 febbraio 2013
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​«Vendola è un problema del Pd, non di Monti. Quando si sarà reso conto di non avere i numeri al Senato, è Bersani che deve andare al Colle e dire se si tira dietro Nichi a tutti i costi oppure no. Non siamo noi a dover scegliere se stare con Sel. Non è un problema nostro. Non ha senso a 15 giorni dal voto...». Pier Ferdinando Casini si sfoga con i più stretti collaboratori tra una tappa e l’altra del suo tour elettorale. Ritiene un controsenso l’attenzione riservata al governatore pugliese. Certo, Monti ha escluso accordi con lui. Ma così facendo ha alimentato la voce che in nome della «realpolitik» alla fine il professore accetti il leader di Sinistra e libertà. «Noi dobbiamo parlare di programmi, di idee, di riforme, di credibilità internazionale, Europa, futuro, famiglia, valori...», dice il leader Udc ricordando che nel bacino dei delusi e degli indecisi ci sono tantissimi elettori di centrodestra. Gente che vede come fumo negli occhi anche la lontana possibilità di vedere Scelta civica, Udc e Fli cimentarsi con la sinistra radicale. «Immaginate quando c’è da scrivere la finanziaria...», dicono nello staff dell’ex presidente della Camera. Senza dimenticare che lo stallo nei sondaggi è iniziato quando ha iniziato a circolare - soffiata anche da Berlusconi - la parola «inciucio». Parola tra l’altro accompagnata - stando ai giornali - dalle prassi politiche della prima Repubblica: «Tu prendi il Colle, io il Senato, lui la Camera...», è il lamento a reti unificati di tutti i colonnelli centristi. Nello sfogo e nel messaggio mandato dall’Udc al premier ci sono tanti elementi. Ci sono anche le proiezioni negative del partito centrista che quasi in automatico affiderebbero al solo Monti il lieto onere della mediazione post-voto. Ma c’è soprattutto la sensazione che la ricerca del consenso possa interrompersi bruscamente: «Abbiamo ancora tanto da dire, appiattirci sul centrosinistra potrebbe costarci caro. Abbiamo fatto una proposta nuova al Paese, dobbiamo insistere, crederci. I margini di crescita sono ampi», dice Rocco Buttiglione in giro nel varesotto. Nessuno sfugge al dovere, dopo il 25 febbraio, di lasciare il Paese nell’instabilità richiamando i cittadini al voto. Le cancellerie europee sono state chiare: l’eurozona non potrebbe reggere l’urto di altre settimane roventi segnate dalle promesse fiscali e dall’avanzata dei populismi. In particolare, il timore tra i grandi del Vecchio Continente è che Grillo, nello scenario desolante di una politica che si autoparalizza, raddoppi i consensi. Allora una soluzione va trovata. L’Udc e Casini la cercano nei meandri del Ppe. «Serve un governo di responsabilità nazionale del tutto concentrato sui temi economici e almeno neutro sui temi etici. Ma dobbiamo incassare i voti necessari per dettare la linea e rendere ininfluenti Berlusconi e Vendola. Solo così i riformisti del Pdl si faranno coraggio. A quel punto Bersani dovrà solo prendere atto della situazione», prosegue Buttiglione citando le insistenze pubbliche e private di Barroso e Martens perché ci sia stabilità a Roma. In conclusione? La sintesi è che «bisogna abolire la parola "alleanze" sino al 25 febbraio», insiste ancora Casini. «Dobbiamo dire che non siamo alternativi solo a Vendola, ma anche a Bersani». È il concetto che l’ex presidente della Camera vuole dire anche di persona al professore appena tornerà dalla complessa trasferta di Bruxelles. Perché la riferisca alle altre anime della coalizione, ai "civici" che già iniziano a scrivere bozze di punti programmatici che potrebbero unire il premier uscente e il governatore pugliese.
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