martedì 6 dicembre 2016
Per il giurista bastano interventi puntuali sulla Carta e sui regolamenti parlamentari
Cesare Mirabelli

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Non c’è «da cantar vittoria», da una parte, né «da leccarsi le ferite», dall’altra. Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta, valuta con in distacco del giurista non schierato l’esito del referendum costituzionale. Il fatto è che il meglio (o presunto tale) spesso è nemico del bene, per sintetizzare con parole nostre il suo pensiero. Così è andata stavolta: si è spaccato il paese per ottenere risultati che si potevano centrare «con interventi limitati sulla Costituzione», quando non «con la modifica dei regolamenti parlamentari ». Una lezione di cui fare tesoro e da far fruttare, insieme alla ritrovata partecipazione popolare.

Per la seconda volta in dieci anni, gli italiani hanno bocciato una riforma costituzionale che superava il bicameralismo paritario e rivedeva i rapporti fra Stato e Regioni. Siamo un popolo che non vuole cambiare?

Direi di no. Non ravviso, nel voto di domenica, un crollo delle istituzioni e nemmeno una difesa a oltranza della Carta contro ogni riforma. Anzi, ce ne sono state diverse in passato, ma più puntuali e limitate. Mi pare piuttosto che declini l’idea di una 'grande riforma'. E questo può non essere un male, nel senso che occorre una 'manutenzione' della Costituzione, laddove è necessario. Ma le Costituzioni nascono per durare. Lo sbaglio sarebbe pensare che problemi di equilibri politici si risolvano modificando il disegno costituzionale.

E non è un’esigenza reale quella di snellire l’iter delle leggi?

Indubbiamente. Ma per rendere più sollecito il procedimento legislativo (attenzione, non più rapido, perché la rapidità in sé non è un valore assoluto, se ottenuta a discapito della sostanza) si può intervenire sui regolamenti parlamentari, non c’è bisogno di coinvolgere il livello costituzionale.

Tutte le forze politiche dicono di voler tagliare il numero dei parlamentari e i costi della politica.

Anche su questo punto, credo che se in Parlamento si proponesse oggi una riforma della Costituzione che riduce sia i componenti della Camera sia quelli del Senato – per esempio rispettivamente a 400 e a 200 – si troverebbe un ampio consenso. Lo stesso discorso vale per l’abolizione del Cnel. Non credo che su proposte del genere, semplici e puntuali, scaturirebbe una disfida aspra come quella che il Paese ha vissuto nelle ultime settimane.

Ma per recuperare l’efficienza delle Camere?

Si potrebbe avviare una linea di pratica 'specializzazione' dei due rami del Parlamento, nel senso che a seconda della materia trattata decida prima la Camera o il Senato. Tra l’altro, per le iniziative del governo, quest’ultimo può scegliere dove presentare il ddl per la prima lettura. In questo caso, i regolamenti parlamentari possono prevedere che il testo già approvato dall’altra Camera sia esaminato e deliberato entro brevissimo tempo. Il nodo reale è semmai la doppia fiducia al governo. Perché la diversa composizione di Camera e Senato può far emergere, e ha fatto emergere in passato, la debolezza dell’esecutivo.

Qui andiamo a finire su un’altra questione campale: la legge elettorale. Oggi ne abbiamo una per la Camera, tra l’altro al vaglio della Consulta, e una per il Senato ottenuta 'per sottrazione' dal Porcellum smantellato dalla stessa Corte.

La legge elettorale è, in effetti, il vero problema. Ma è un problema risolvibile soltanto con le necessarie convergenze, comprendendo che la legge elettorale non è 'della maggioranza', bensì di tutti. E dovrebbe essere vista non in funzione del possibile vantaggio che se ne intende ricavare. Tanto più che, in genere, quando si prefigura un vantaggio per qualcuno, le urne smentiscono il risultato atteso...

Ora è tutto nelle mani del presidente Mattarella?

Mattarella è l’arbitro e come tale può verificare le soluzioni possibili, ma molto dipende dai giocatori. Che non dovrebbero dividersi in 'vincitori e vinti', ma cercare e trovare convergenze sui problemi istituzionali. E la legge elettorale la metto nell’elenco dei problemi istituzionali, perché stabilisce le regole del gioco.

Domenica gli italiani sono tornati in massa alle urne. Come interpreta questa rinnovata voglia di partecipare?

C’è la richiesta di una migliore rappresentanza politica, però anche l’esigenza di una migliore rappresentanza sociale. Mi riferisco ai sindacati, alle organizzazioni imprenditoriali, alle associazioni che pure in larga parte si sono mobilitati per il referendum. Gli elettori hanno dato prova di grande maturità, in qualunque modo abbiano votato. Ecco, bisognerebbe cogliere questo aspetto positivo e fare partecipi i cittadini di altre decisioni, anche puntuali, magari attraverso rinnovati canali di comunicazione con le formazioni politiche e con le istituzioni.

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