venerdì 25 novembre 2022
Il copione si ripete: Marco Cappato accompagna un uomo di 82 anni, Romano, in una clinica oltreconfine. L'uomo, come Elena quest'estate, era malato ma non era tenuto in vita da macchinari
Romano, l'uomo di 82 anni accompagnato a morire in Svizzera da Marco Cappato

Romano, l'uomo di 82 anni accompagnato a morire in Svizzera da Marco Cappato

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L’annuncio la mattina, la svolta la sera. Per dare il massimo della visibilità alla storia – al solito raccontata attraverso social e comunicati stampa e video registrati con largo anticipo – e non rischiare che l’epilogo sia diverso da quello deciso. Peccato che in mezzo al solito show di Marco Cappato, anche questa volta ci sia stata una vita (e una morte): quella di Romano, 82 anni, residente a Peschiera Borromeo, affetto da Parkinsonismo atipico dal 2020. Un uomo gravemente malato: ex giornalista e pubblicitario era costretto a letto tra «forti dolori muscolari, in una condizione irreversibile che gli impediva di leggere, scrivere e fare qualsiasi cosa in autonomia» fanno sapere dall’Associazione Luca Coscioni. La sorte tristissima che tocca a centinaia di migliaia di italiani, supportati da terapie specifiche (capaci di rallentare la malattia, anche se non ancora di sconfiggerla) e da decine di associazioni ben ramificate su territorio. Non è dato sapere se, in questi due anni di sofferenza – in mezzo a cui è scoppiata anche la pandemia – Romano e la sua famiglia le abbiano contattate o incontrate: quel che è certo è che l’uomo non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. E che, come hanno confermato i suoi familiari, desiderava porre fine alle sue sofferenze.

«Mio marito Romano – ha spiegato la moglie in un video diffuso prima che arrivasse, in serata, la notizia della morte dell’uomo – è affetto da una grave malattia neurodegenerativa, che gli ha paralizzato completamente gli arti e che ha prodotto una disfagia molto severa che lo porterà a breve a una alimentazione forzata. Quando a inizio luglio ha espresso in maniera molto responsabile e consapevole il desiderio di interrompere questa lunga sofferenza, ci siamo rivolti all'Associazione Luca Coscioni. Tutto questo per evitare problemi legali visto che nel nostro Paese non esiste un quadro legislativo chiaro sulla scelta del fine vita che è un diritto fondamentale dell’uomo. Adesso dopo un lungo viaggio molto faticoso, siamo in Svizzera e stiamo aspettando la visita del dottore. Se Romano confermerà la sua decisione, da domani sarà libero di porre fine alle sue sofferenze». È andata a finire proprio così.

Il protocollo ben oliato dell’Associazione Coscioni, naturalmente, prevede ora il solito rituale: già oggi Cappato andrà ad autodenunciarsi presso la stazione dei carabinieri in via Fosse Ardeatine 4, a Milano (ore 9.45 specifica il comunicato, così che non manchino anche lì le telecamere), forte dell’assoluzione già incassata in passato sul caso di dj Fabo. «Sono passati 4 anni da quando la Corte Costituzionale la prima volta ha chiesto al Parlamento di intervenire sul tema» ha ricordato lo stesso Cappato. Quell’intervento, arrivato nel 2019, ha depenalizzato l’aiuto al suicidio solo per malati in determinate condizioni verificate dal Ssn (non quelle in cui versava Romano) e nel contempo ha reiterato la richiesta di una legge. Che, piccolo particolare, non è ancora arrivata. Per questo «ad agosto – ha proseguito Cappato – avevo ripreso l’azione di disobbedienza civile, accettando la richiesta di Elena di essere accompagnata in Svizzera, per superare la discriminazione contro i malati che non sono dipendenti da trattamenti sanitari». Ciò che, più che un atto di disobbedienza, è dunque una violazione della legge vigente a tutti gli effetti.

La differenza rispetto ad agosto, politicamente parlando, è che nel frattempo al governo c’è una maggioranza fortemente contraria a una legislazione aperturista sull’eutanasia. Come confermano le dichiarazioni del vicecapogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera Alfredo Antoniozzi: «Abbiamo ribadito, come lo ha fatto la Chiesa, il diritto inalienabile a lenire la sofferenza di ogni persona, la contrarietà assoluta all'accanimento terapeutico, il diritto alle cure palliative. Pensare, però, che esista un diritto assoluto a “somministrare” la morte è sbagliato. Attenzione a una deriva che porti a legittimare l'eutanasia come forma sostitutiva di suicidio, cui non aderiremo mai».

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