mercoledì 3 giugno 2015
Renzi perde un pezzo. Mario Mauro: «Riforme non condivise».  Al Senato solo 9 voti di margine. Pd, tensione sulla scuola. Il leader si prepara alla battaglia di lunedì in direzione.
COMMENTA E CONDIVIDI
Un’atmosfera di attesa aleggia nei Palazzi del Parlamento. Gli unici a muoversi sono Mario Mauro e la sua mini-componente, che decide di lasciare la maggioranza. Nessuno smottamento, visto che i due sottosegretari Angela D’Onghia (Istruzione) e Domenico Rossi (Difesa) si sfilano e restano nel governo, mentre Tito Di Maggio non ha mai votato la fiducia. Di fatto l’esecutivo perde uno o due consensi. E però la decisione dei centristi di abbandonare la nave suona come un campanello per il premier, che a Palazzo Madama, dove si vota per la scuola e la riforma costituzionale, i margini di scarto sono ormai solo 9. Ma a Largo del Nazareno il problema viene visto sotto un’altra lente: quello che va garantito è il voto del gruppo Pd. Dissidenti inclusi. Sono loro a decidere la sorte del governo e della legislatura.Nonostante questo, comunque, nessuno assicura che verso di loro, nella Direzione confermata per lunedì alle 21, il segretario userà un occhio di riguardo. Bersani, Speranza, Gotor e compagni si sono visti ieri a pranzo per fare il punto, in vista del vertice del "parlamentino". Le richieste della sinistra dem sono pronte nero su bianco ed entrano nel merito delle riforme che stanno a cuore al premier. Ma sulla possibilità di essere ascoltati ci sono molti dubbi.Si sa, infatti – Matteo Renzi lo lascia trapelare – che il leader pd vuole chiedere conto di un atteggiamento che avrebbe portato alla defezione degli elettori. Nessuna espulsione in vista, ma il caso Liguria, con il proliferare di liste a sinistra, va affrontato. E su questo va aperta la discussione delle regole di ingaggio e di permanenza nel partito.Dunque ci si attende un premier tutt’altro che dialogante. Determinato a non mostrarsi debole per il risultato, ma forte piuttosto dei nuovi risultati economici che ieri gli hanno dato ragione.La sinistra del Pd, allora, guarda con attenzione alla presa di posizione del ministro della Giustizia Orlando, che, in questi tempi di scollamento con il vertice del partito è rimasto l’unico a rappresentare l’ala minoritaria in un posto di comando e che, accanto al premier, potrebbe fare da anello di congiunzione dei due mondi che non riescono a comunicare. «Eviterei di fare di ogni tornata elettorale un capitolo del congresso del Pd», dice il guardasigilli. «Questo è il momento di stringersi attorno al premier per una battaglia comune» senza «interpretare l’attività di governo in modo provinciale».Ma su quello che avverrà al Senato restano molti dubbi. Il capogruppo azzurro Renato Brunetta prevede «tempi duri per le riforme di Renzi, sia per la riforma costituzionale del bicameralismo paritario, che ormai pare non la voglia più nessuno, che per l’Italicum». Insomma, «si sta aprendo al Senato un Vietnam per Renzi. A questo aggiungiamo la riforma della scuola, che una parte consistente del gruppo del Partito democratico ha dichiarato di non volere. Vietnam al quadrato». Nel Pd non concordano. La replica è del presidente dei senatori dem Luigi Zanda: «La maggioranza non cambia. Andremo avanti con la stagione delle riforme» visto che «i senatori che hanno annunciato il loro passaggio all’opposizione già da molti mesi votano contro il governo. Shakespeare avrebbe detto "molto rumore per nulla"».E il rumore arriva anche dalle truppe fittiane, che si mettono in proprio con 12 componenti, ma sempre contrarie alla linea di governo. Chi potrebbe fare la differenza, stando alle voci indiscrete, sono gli uomini di Denis Verdini, principale artefice del Patto del Nazareno, che avrebbe già sul taccuino 12-13 senatori pronti a seguirlo. Sul pallottoliere, ad oggi, resta uno scarto tra i 9 e gli 11 voti per Renzi. La maggioranza infatti sulla carta può contare su 112 senatori Pd (il presidente non vota per consuetudine), 36 centristi, 19 del gruppo Per le Autonomie (anche se Ciampi e Piano di solito non votano), 3 del gruppo Gal (composto da 15 senatori) che sono quelli che hanno detto sì all’ultima fiducia.Ma tra questi è difficile calcolare ora Mauro e Di Maggio che si riservano di votare a seconda dei provvedimenti (come per altro avvenuto finora). E restano dubbi sulla pattuglia di 3-5 senatori del Misto (con le new entry Bondi e Repetti) per un totale di circa 175 voti rispetto a un’opposizione «forte» di 145 voti.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: