lunedì 24 agosto 2020
Il vescovo di Rieti per il quarto anniversario del sisma ricorda come «l'Appennino non ha smosso quanto il ponte Morandi». Il Papa e Mattarella: accelerare ricostruzione. Presente Conte
La Messa nell'anniversario del terremoto

La Messa nell'anniversario del terremoto - Romano Siciliani

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La fatica di continuare a sperare, nonostante tutto, nonostante una ricostruzione che ha appena cominciato a muovere i primi – lenti – passi. La fatica di restare tra montagne che già di per sé rendono tutto più difficile nella quotidianità. Il quarto anniversario del terremoto del 24 agosto 2016 nel Centro Italia ha sulle spalle il peso di una pandemia che ha rallentato ancor di più un processo di «rigenerazione» del territorio, come lo definisce il vescovo di Rieti monsignor Domenico Pompili nella celebrazione in ricordo delle 299 vittime nel campo sportivo di Amatrice, alla presenza del premier Giuseppe Conte e portando il saluto e la benedizione di Papa Francesco. Già ieri durante l’Angelus il suo appello perché «si acceleri la ricostruzione, affinché la gente possa tornare a vivere serenamente in questi bellissimi territori dell’Appennino». E oggi con un tweet Bergoglio è tornato sull’argomento per «rinnovare la preghiera per le famiglie e le comunità che hanno subito maggiori danni, perché possano andare avanti con solidarietà e speranza».

La Messa nell'anniversario del terremoto

La Messa nell'anniversario del terremoto - Romano Siciliani

La stessa iniziazione di speranza che il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha voluto portare nel suo messaggio di vicinanza alle popolazioni del Centro Italia molte delle quali vivono ancora fuori dalle proprie case, ricordando che «nonostante tanti sforzi impegnativi, l'opera di ricostruzione dei paesi distrutti è incompiuta e procede con fatica, tra molte difficoltà anche di natura burocratica». Nello spirito di solidarietà, fondamento della nostra Costituzione, ricorda ancora il capo dello Stato «la Repubblica - in tutte le sue istituzioni, territoriali e di settore - deve considerare prioritaria la sorte dei concittadini più sfortunati colpiti da calamità naturali, recuperando, a tutti i livelli, determinazione ed efficienza».

La stessa che ha caratterizzato la ricostruzione a tempo del record del ponte Morandi. Il parallelo che il vescovo della comunità amatriciana ha usato durante la sua omelia, sottolineando con determinazione che forse «nulla di buono potrà venire da Amatrice, a parte l’amatriciana, visto che tutto l’Appennino non ha ’smosso’ quanto da solo ha mobilitato il ponte di Genova». Eppure - esattamente come il Covid-19 ha creato una netta cesura tra quello che è stato e ciò che sarà dopo - «anche il post-terremoto può segnare uno spartiacque per il nostro Paese. Un passaggio, appunto, tra una vecchia idea di ricostruzione e una nuova idea di rigenerazione». Questo è un territorio abituato alla fatica, a sudarsi ogni singolo passo in avanti. Per questo monsignor Pompili dice che «è tempo di rialzare gli occhi, senza sudditanza e senza arroganza. Non vogliamo morire di aiuti. Vogliamo semmai vivere di risorse. Le nostre, in particolare: l’acqua, quella che disseta Roma; l’aria ancor più rarefatta e pura ai tempi del virus; la terra, una sterminata possibilità di vita».

Dopo la messa il premier Giuseppe Conte si è intrattenuto molto con i cittadini di Amatrice per ascoltare le loro, giuste, rimostranze sulle promesse tradite. I cittadini amatriciani «hanno completamente ragione – sottolinea - Ora c’è un quadro normativo che però crea le premesse per procedere più speditamente». Il premier Conte ricorda come i decreti semplificazione e rilancio «hanno modificato la normativa vigente» permettono di avviare la ricostruzione del centro storico di Amatrice «operando come ricostruzione e non come nuova costruzione».

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