giovedì 1 aprile 2021
Con la legge 121 del 1981 arrivò la riforma della pubblica sicurezza. Il capo Giannini: felice intuizione. La stagione buia degli anni di piombo e l’attività quotidiana di oggi
Un'immagine del passato della Squadra Volante

Un'immagine del passato della Squadra Volante - Polizia di Stato

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«La Polizia è uno dei volti dello Stato». E, a quarant’anni esatti dal varo della legge di riforma della pubblica sicurezza, è «oggi un corpo che i cittadini riconoscono come amico, accessibile ed aperto, elemento di coesione». Parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel quarantesimo anniversario della legge 121 del 1981, che riformò l’agire e l’essenza della Polizia, accrescendone i caratteri di modernità, pluralismo, meritocrazia, presenza sindacale e parità di genere. Un percorso illustrato nel volume «La riforma dell’amministrazione della pubblica sicurezza» curato dal compianto prefetto Carlo Mosca (scomparso nei giorni scorsi e fra gli ideatori di quella svolta), con contributi autorevoli di figure istituzionali e religiose (dal cardinale Gianfranco Ravasi a Giuliano Amato, da Marta Cartabia a Giovanni Salvi) e con la prefazione del capo dello Stato. Un anniversario che la polizia, guidata ora dal prefetto Lamberto Giannini, celebrerà senza formalismi, ma badando alla sostanza: «Sono grato a coloro che 40 anni fa ebbero il coraggio e la felice intuizione di attuare la riforma dell’amministrazione della pubblica sicurezza – considera Giannini –. Anche io, entrato in servizio alla fine degli anni ottanta, sono figlio di questa riforma. E da capo della Polizia sento forte l’impegno di aggiungere nuovi tasselli al percorso tracciato dalla legge, lavorando per una Polizia che possa sempre meglio coniugare l’antica sapienza con le moderne competenze per rispondere alle necessità dei cittadini».

Trasparenza. Nella stagione buia degli anni di piombo, e dopo gli scontri di Valle Giulia resi celebri dalle parole di Pier Paolo Pasolini, quella riforma ebbe un valore cruciale. Contribuì, come sottolineò Oscar Mammì, relatore della legge alla Camera, a evitare quanto il terrorismo e la criminalità si proponevano, cioè 'dissaldare' «le Istituzioni dai cittadini, i poliziotti dai lavoratori». Tra le tante novità, la legge distinse responsabilità e compiti di prefetto e questore e fissò il concetto di servizio da adempiere «con disciplina e onore». Il sottosegretario con delega ai servizi di Sicurezza Franco Gabrielli ricorda quel lungo iter parlamentare e come «il dibattito coinvolse non solo il Parlamento e le forze politiche e sociali del Paese, ma impegnò la stessa platea dei poliziotti, l’opinione pubblica, la stampa». E il prefetto in pensione Roberto Sgalla, che contribuì dal basso alla spinta riformatrice, dice ad Avvenire: «A quel testo si può riconoscere il valore di altre norme innovatrici, come quelle sul diritto di famiglia o sul servizio sanitario nazionale. Rispose a una spinta interna, di riconoscimento dei diritti dei lavoratori-poliziotti, ed esterna, di dare ai cittadini un servizio democratico e trasparente », perché in quegli anni, sull’operato dell’istituzione, «gravavano a volte ombre e ambiguità, di cui la stragrande maggioranza di poliziotti non aveva colpa».

«Empatia democratica». La legge determinò la trasformazione dell’allora Corpo delle guardie di pubblica sicurezza nell’attuale Polizia di Stato: una polizia moderna, smilitarizzata e caratterizzata da una forte identità civile, votata al servizio della comunità, non più solo vocata al presidio della sicurezza del Paese, «bensì proiettata verso la cura dell’ordine democratico e che concorre a rendere vera la libertà di esercizio dei diritti garantiti dalla Costituzione», annota il presidente Mattarella. E l’Italia se ne accorse: oggi verso i centomila poliziotti in servizio, scrive ancora il capo dello Stato, i cittadini provano «una empatia democratica guadagnata sul campo anche nei giorni durissimi di questo annus horribilis appena trascorso, ma nata negli anni difficili del terrorismo, nutrita, nei lunghi 40 anni dall’introduzione della riforma, dal lavoro e dal sacrificio dei suoi componenti ». Figlia di quel cambio epocale è, ha scritto il prefetto Mosca, la «sicurezza condivisa e partecipata» in cui le forze di polizia «si avvalgono della collaborazione attiva della cittadinanza, come efficace strumento di prevenzione dei reati».

Verso il futuro. Oggi dunque prevale una nuova visione, osserva la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, «del bene sicurezza, divenuta patrimonio condiviso del nostro vivere sociale», fattore «determinante di sviluppo sociale ed economico di un Paese». E l’intento del prefetto Giannini è di dare «attuazione al processo riformatorio delle articolazioni centrali e territoriali del Dipartimento della ps». Una riorganizzazione che «pur conservando lo spirito di quella straordinaria legge, ne attualizza i contenuti», mettendola la Polizia degli anni duemila «al passo coi tempi, in grado di rispondere alle istanze di sicurezza delle nostre comunità».

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