lunedì 6 dicembre 2010
È sempre più guerra aperta tra il premier e quelli che ormai vengono definiti i due ''rivali'': Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini. Il fatto che i due si siano alleati per tentare di «farlo fuori», trasformando il 14 dicembre in un appuntamento al buio nel quale può accadere di tutto, non è stato gradito dal presidente del Consiglio.
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È sempre più guerra aperta tra Silvio Berlusconi e quelli che ormai vengono definiti senza mezzi termini i due ''rivali'': Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini. Il fatto che i due si siano alleati per tentare di «farlo fuori» trasformando quello del 14 dicembre in un appuntamento al buio nel quale può accadere di tutto, il premier non riesce a mandarlo giù.«Il ribaltone è un sovvertimento della volontà popolare. Non credo che ci saranno ribaltoni». Così il presidente della Camera Gianfranco Fini, che stamattina ha tenuto una lezione agli studenti del liceo Orazio, ha risposto a una consigliera municipale che gli chiedeva cosa ne pensasse dei ribaltoni politici. «Ma cosa ne pensa lei di tante promesse non mantenute e di impegni disattesi da chi aveva promesso che la legge sarebbe stata uguale per tutti e poi si è occupato solo degli affari suoi?», ha proseguito Fini.«Se qualcuno fosse più umile e pensasse di aver torto lui, invece di invocare sempre il complotto, se qualcuno dicesse che alcuni impegni non sono stati mantenuti, le cose sarebbero state migliori». «La politica è innanzitutto onestà intellettuale», ha sottolineato Fini, dopo aver chiesto a chi lo interrogava polemicamente sui ribaltoni cosa ne pensasse «di chi aveva promesso che la legge sarebbe stata uguale per tutti e poi si è occupato solo degli affari suoi».Presidente, la coerenza?, chiede dalla platea un consigliere municipale del Pdl. «C'é un momento la mattina in cui mi guardo allo specchio e mi dico che c'è un limite oltre il quale non si può andare, pena la dignità», risponde Fini. Poi, rivolto al contestatore, aggiunge: «Per te evidentemente non c'é, ma è un problema tuo».«Senza comportamenti coerenti tra il dire e il fare, dopo un po' la pubblica opinione non ti capisce», dice il presidente della Camera. «Comportamenti all'insegna della massima spregiudicatezza vengono prima o poi censurati dai cittadini con una perdita di fiducia: non ti votano», ha sottolineato Fini. Poi ha aggiunto: «Sui grandi valori come l'unità nazionale e la libertà non ci può essere tatticismo», quel tatticismo che invece in politica «ci può essere su qualcosa di contingente, mai su qualcosa di strategico».  BOCCHINO, BIS BERLUSCONI SE SI DIMETTE PRIMA DEL 14Il presidente del Consiglio, Berlusconi sarebbe in «piena tempesta emotiva» e «vuole fare la campagna elettorale sul tradimento», nella speranza di andare al voto, ma questo comportamento, in realtà, porta voti a Fli. Italo Bocchino, capogruppo di Fli alla Camera, in un'intervista a La Repubblica fa un'analisi della settimana che precede il voto alle mozioni di sfiducia al governo e si dice preoccupato per «il clima che il Pdl e le sue propaggini giornalistiche vogliono creare», puntualizza, riferendosi alla campagna del quotidiano Libero che «rischia di armare le mani di estremisti o pazzi» e ha pubblicato il suo indirizzo mail, al quale, per ora, ha ricevuto «500-600 mail, due terzi di insulti e minacce e il resto di persone indignate per questa operazione».A pochi giorni dal voto, per il capogruppo, la situazione è chiara: «Da una parte ci sono 317 deputati per la sfiducia e 308-309 dall'altra». Il consiglio al premier è «che vada a dimettersi e poi si sieda attorno ad un tavolo con Fini e Casini». La previsione dell'esponente di Fli è che Berlusconi si dimetterà il 14 mattina, «avendo così la possibilità, per prassi costituzionale, di riassumere l'incarico».Dopo questo passaggio è necessaria una nuova agenda economico-sociale nella quale si parta dall'accordo che Confindustria e le parti sociali hanno firmato e si riformi la legge elettorale. Infine, la coalizione. Per Bocchino sarebbe necessario tornare a quella del 1994, con Berlusconi, Fini, Bossi e Casini. In sostanza, Bocchino è contrario alle elezioni e a un ribaltone, «no a un governo di responsabilità - dice - che mandi all'opposizione chi ha vinto le elezioni, sì se è con Pdl e Lega. Se Berlusconi indica un nome, Letta, Tremonti, Alfano, va benissimo». Allo stesso modo, non preclude un governo Schifani, anche se dice di non vederne le condizioni.CICCHITTO, SERVE BERLUSCONI-BIS E LEGGE ELETTORALE«Fini e Casini, ritenendosi furbissimi, si sono cacciati in un vicolo cieco». Lo afferma il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, intervistato da La Stampa. Il «vicolo cieco» sarebbe rappresentato dal fatto che Fini, d'accordo con Casini, ha anticipato la data della presentazione della mozione di sfiducia al governo prima del 13 dicembre, come aveva annunciato, e ora la stessa mozione sarà votata anche da Pd e Idv. «Per chi viene dalla storia della destra ed è stato eletto nelle liste su cui era scritto Berlusconi presidente - afferma Cicchitto - un bel salto nel buio». Cicchitto respinge l'ipotesi di un governo tecnico che sarebbe tale «solo con una presenza di Pdl e Lega. Invece, senza di noi diventerebbe politico e ad alto livello di provocazione, che qualunque persona dotata di equilibrio si guarderebbe bene dallo sponsorizzare». Secondo il capogruppo, «dopo aver coperto Berlusconi di contumelie, i terzopolisti (Fini e Casini) gli chiedono non una ma due cortesie. Di togliere spontaneamente il disturbo prima del dibattito - afferma - e di dar vita a un governo presieduto, per non far nomi, da Letta o da Tremonti o da Alfano». Invece, è necessario che «il governo Berlusconi faccia due passi avanti, altro che passi indietro - prosegue Cicchitto -. Il primo sull'economia», recependo l'accordo tra Confindustria e parti sociali e l'altro riprendendo «il filo delle riforme istituzionali», il tutto «collegato a un'eventuale riflessione sulla legge elettorale», il cui punto discriminante è «mantenere il premio di maggioranza».L'ATTACCO DI BERLUSCONIIntervenendo telefonicamente, durante una manifestazione del Pdl a sostegno del governo, il Cavaliere attacca a testa bassa, prima Fini, che definisce di «un'incoerenza totale» e poi Casini, sostenendo come ormai lui abbia un solo obiettivo: far fuori«Silvio Berlusconi per prenderne il posto». Ma il premier avverte che venderà cara la pelle perché solo lui «è la star». Gli altri, invece, dei «maneggioni della vecchia politica» ai quali non lascerà mai lo scettro. «Sono assolutamente consapevole di avere una certa età - ammette - e che dovrò lasciare prima o poi». «Ma - assicura - passerò il testimone quando avrò terminato il programma e comunque, non ai maneggioni della vecchia politica», né alle «seconde file». Casini preferisce non polemizzare ma in serata definisce il premier «un uomo allo sbando» e invita il premier a fare un passo indietro «per il bene del Paese» perché il momento è così «drammatico», sostiene, che l'unica cosa da mettere in piedi dopo il 14 è un «governo d'armistizio» che affronti almeno l'emergenza economica e metta mano a una nuova legge elettorale. Anche in caso di maggioranza risicata il premier dovrà andarsene, insiste Casini. Perché se invece decidesse di andare avanti comunque, la scelta sarebbe obbligata: si dovrebbe chiamare, ironizza, il 118. Quindi l'esponente centrista fa i nomi di chi potrebbe guidare il nuovo esecutivo: Gianni Letta, Giulio Tremonti, Angelino Alfano. Sempre che il Pdl prenda coscienza della situazione e accetti di collaborare alla creazione del nuovo governo senza Berlusconi. Altrimenti, per il leader Udc, si potrebbe verificare un'altra ipotesi: quella di un governo tecnico con Mario Draghi o Mario Monti a svolgere un «ruolo di supplenza». Il Pd usa un'altra espressione: «governo di transizione», ma il concetto non cambia. Anche per il presidente dei deputati Pd Dario Franceschini, così come per il segretario Pier Luigi Bersani, è necessario che il Cavaliere faccia un passo indietro («ormai è pericoloso») perché «è lui - dice in serata Bersani - la causa della crisi ed è lui che porta instabilita». Ma al Pd, precisa il capogruppo al Senato Anna Finocchiaro, non va di fare nomi. L'importante, sottolinea, è il programma. Se si trova una convergenza nell'interesse dell'Italia su misure a favore della famiglia e delle imprese, allora il partito ci starà altrimenti no.
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