mercoledì 28 settembre 2022
Intervista al direttore dell’Istituto Arrupe di Palermo sull'astensionismo e la mancanza di fiducia di tanta gente nella politica
Padre Gianni Notari, gesuita, direttore dell'istituto di formazione politica Pedro Arrupe di Palermo

Padre Gianni Notari, gesuita, direttore dell'istituto di formazione politica Pedro Arrupe di Palermo - Collaboratori

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«Si avverte una mancanza di fiducia, che è il vero problema da risolvere. Ecco, io penso che dobbiamo partire da questo per costruire un futuro migliore per la nostra democrazia». Futuro è una parola che ricorre spesso nelle analisi di padre Gianni Notari, gesuita, direttore dell’istituto di formazione politica "Pedro Arrupe" di Palermo.

Padre Gianni, perché tante persone restano a casa e non vanno a votare?
Perché i cittadini non si sentono coinvolti nella scelta dei candidati, non vengono invitati a partecipare a un percorso comune e finiscono con l’avvertire la politica molto distante. Una cosa d’altri, che appartiene nessuno. Questa, secondo me, è la prima ragione che porta all’astensione.

E la seconda?
C’è poca fiducia, ed è un tema centrale, nella classe dirigente, anch’essa percepita come lontana dai veri bisogni delle persone, specialmente in giorni molto complicati come quelli che stiamo vivendo. La politica, generalmente, non parla più al cuore e alla testa e camuffa, con l’alibi del bene comune, i propri interessi personali.

Il dramma dell’astensione tocca con intensità il Sud. Perché, secondo lei?
Perché qui la sofferenza è più alta, più cocente e più gravi sono i guai che si affrontano. Qui si avverte e si tocca con mano l’assenza di prospettive, in mezzo a tanto blaterare e sciorinare intenzioni che non approdano a nulla.

È un fenomeno trasversale?
Sì. Ma i giovani, alla fine, sono quelli che stanno peggio, che vivono male e che sperimentano il dolore del distacco quando, per mancanza di occasioni, sono costretti a lasciare il Mezzogiorno, la Sicilia, la propria casa per cercare qualcosa. Qualunque cosa, altrove.

Però, infine, le elezioni qualcuno le vince...
Sono quelli che, bene o male, con le loro parole, mostrano un orizzonte che si definisce migliore. Che poi si realizzi e in che modo, è una questione diversa. Sono politici che più spesso si rivolgono ai bisogni e prospettano una opportunità di soluzione a cui la gente, con disperazione, si aggrappa. Ma c’è, spesso, poco futuro in tutta questa retorica sul futuro. E poi ci sono gli altri.

Chi?
Quelli che fanno la morale, che dicono anche cose giuste, ma che non condividono le domande angosciose che arrivano dal basso. È impegnativo dare una risposta. Lo smarrimento conduce ad aggrapparsi a ogni appiglio, magari con poco spirito di discernimento, ma è comprensibile che sia così. A tutti noi cittadini sono richieste responsabilità e vigilanza democratica con l’intento di ricreare un clima di fiducia in tutto il Paese. Si tratta di costruire un futuro di speranza, prima che sia troppo tardi.

Il ruolo dei cattolici, in un simile contesto, quale deve essere?
I cattolici devono sentirsi coinvolti in prima persona nella politica, secondo la sua dimensione più nobile. Non possono bastare generiche dichiarazioni di principio. Devono esserci, per riformare il sistema, schierati con chi propone i valori della solidarietà e dell’umanità. Non è mai il tempo di stare a guardare. Adesso lo è ancora di meno.

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