domenica 1 maggio 2016
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ROMA «C’è un terreno comune in cui politica e magistratura possono davvero lavorare insieme per combattere e sconfiggere le mafie e la corruzione ed è la prevenzione, l’educazione, l’alternativa sociale, la cultura della legalità. È un fronte poco popolare, che non strappa titoli sui giornali, però è l’unico davvero decisivo. Sono certo che qualsiasi sindaco e pm di frontiera si ritrovi in questa esigenza ». A Francesco Cananzi, membro togato del Consiglio superiore della magistratura - presiede la settima commissione per l’organizzazione degli uffici giudiziari - piace tenere lo sguardo alto, lontano da polemiche «dal fiato corto ». «Non è proprio il momento di conflitti istituzionali – spiega il magistrato, a lungo gip a Napoli – e nemmeno il tempo della confusione e delle generalizzazioni reciproche. La comune responsabilità verso il Paese, come giustamente ci indica il presidente Mattarella, ci spinge a una leale collaborazione». Ha una ricetta perché politica e magistratura non aprano una nuova stagione di veleni? Ricetta è una parola grossa. Dico soltanto che o- gnuno deve fare bene la propria parte nel rispetto dell’autonomia tra i poteri. La politica e la magistratura, ognuno secondo le proprie prerogative, devono trovare la forza di autoriformarsi, di cambiare regole e comportamenti e dissipare ogni zona d’ombra. Il Csm ci sta provando con impegno. Ci deve provare - e sono certo che lo voglia fare - anche la politica, proprio nel solco di quanto ha detto Mattarella ricordando la testimonianza di Pio La Torre: le classi dirigenti devono essere libere e indipendenti da ogni potere mafioso e corruttivo. Molte inchieste su politica e corruzione sembrano però irritare la politica, l’ultima è quella che coinvolge il presidente del Pd campano... Non commento inchieste in corso e non commento le polemiche che ne seguono. Se lei mi parla di Napoli, della Campania, della mia terra, io le rispondo citando la risposta corale della Sanità, dei parroci, delle realtà positive di quel quartiere all’ultima faida in strada. Lì chi vuole continuare a sperare, chi non vuole rassegnarsi, si è messo insieme e ha reagito. Questa disponibilità all’impegno della comunità civile va raccolta e valorizzata subito. Nessun potere dello Stato salverà da solo il Paese e il Sud. Nessuno. Perciò dico: basta generalizzazioni reciproche. Quando la politica dice che pm e giudici lavorano lentamente, senza porsi il problema delle risorse e delle riforme dei processi, mina la fiducia nella giustizia non come sistema, ma come valore. Quando la magistratura fa l’equazione tra politica e corruzione allontana la partecipazione delle cellule sane alla vita pubblica, mortificando la parte buona della politica. Abbiamo bisogno di una politica forte - ed è forte anche quando sa rinunciare ad aree di consenso ai confini con l’illegalità - e di una magistratura forte. Ieri da Mattarella a Renzi si è sottolineato come la lotta alle mafie debba vedere le istituzioni tutte dalla stessa parte. Un passo in avanti, no? Credo che la lotta alle mafie sia il prolungamento materiale e ideale della Resistenza. Testimonianze come quella di La Torre e di tutte le vittime della criminalità organizzata sono state la traduzione concreta di un patto costituzionale che oggi occorre avere il coraggio di ridire. Ai magistrati servono nuovi strumenti contro le mafie che oggi hanno in alcuni contesti più carattere corruttivo che estorsivo? Si parla molto di riforma della prescrizione... Quello della prescrizione è un tema serissimo e sul quale non ci possono essere rinvii. Io lo inquadro dal punto di vista della tutela della vittima. La vittima deve avere giustizia. Oggi gli strumenti d’indagine ci sono, si sono affinati, c’è una buona cultura investigativa. L’intervento legislativo urge sulle regole del processo. E poi c’è il tema delle risorse, ma è un altro capitolo. Tuttavia, mi ripeto, oltre che sulla repressione bisogna concentrarsi sulla prevenzione. Si spieghi in concreto... Prenda Napoli e Caserta. I vertici dei clan sono stati decapitati. Ma ora i giovani hanno preso il loro posto. Bisogna evitare che ci siano nuove leve. E si fa solo con una progettualità sociale non emergenziale, di medio-lungo periodo. Anche l’arretramento del welfare favorisce l’illegalità. I militari vanno bene per una risposta immediata, ma poi ci vogliono scuole aperte e sostegno concreto alle realtà positive del territorio. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intervista
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