sabato 4 dicembre 2010
Fini assicura: «Non si voterà, Napolitano sa cosa fare». S’innesca una spirale polemica. Matteoli e Valducci: fa l’interprete? E in serata filtra tutto il disappunto del Quirinale. Ruvida replica del coordinatore del Pdl Verdini: «Conosciamo le sue prerogative, ma politicamente ce ne freghiamo».
- L'ora dei poli che non ci sono di Sergio Soave
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Berlusconi: «Un nuovo polo? Solo una bufala»
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«Basta tirare per la giacca il capo dello Stato, nessuna presa di posizione di qualsiasi parte può oscurare prerogative rigorosamente di competenza del Presidente della Repubblica». È tarda sera quando dal Quirinale trapela il disappunto per un dibattito che continua a chiamarlo in causa, facendo riferimento al possibile scioglimento anticipato. Era stato prima Silvio Berlusconi dalla Federazione Russa, stando a quanto trapelato dalla cena dell’altra sera a Sochi, a evocare il ricorso alle urne, in caso di caduta di questo governo, definendo un «golpe» un diverso esecutivo. Poi Gianfranco Fini, nella sua visita a Mestre, aveva replicato che «Napolitano sa cosa fare», affermazione che suscitava polemiche nel Pdl: Mario Valducci definiva Fini «ventriloquo» del Quirinale, Altero Matteoli chiamava in causa direttamente Napolitano: «Se lo avesse detto Berlusconi ci sarebbe stata una nota di protesta», accusava. Di qui la replica, ufficiosa, del Colle rivolta a tutti i contendenti, «nessuno escluso».Nel dibattito irrompe, con toni anche un po’ irrituali, un intervento del Pdl con Denis Verdini. Il Capo dello Stato «ha le sue prerogative» in caso di crisi, ma «noi ce ne freghiamo», nel senso che «politicamente» Napolitano non può «pensare che si mandi a casa chi ha vinto le elezioni», avvertiva il coordinatore del Pdl, in un convegno, a Prato. Contro-replica di Italo Bocchino: «Conferma l’assoluto disprezzo del Pdl per ogni regola». È un crescendo di polemiche, interviene anche il finiano moderato Silvano Moffa, a non far mancare il suo disappunto per «questa perdita di senso delle istituzioni». Parole «vergognose e gravi», per Pierluigi Bersani. Per Enrico Letta Verdini così «rompe gli equilibri istituzionali». «Non esiste una prerogativa dei partiti di condizionare il capo dello Stato», interveniva anche il costituzionalista Cesare Mirabelli. Linda Lanzillotta, per l’Api parlava di «volgarità politica». «Parole squallide e indegne», per Massimo Donadi, di IdV. Serviva alla fine una nota ufficiale del Pdl per provare a smorzare i toni, dopo che Verdini stesso aveva parlato di «strumentalizzazioni e sintetizzazioni estreme»: «È falso, e grave, sostenere che Verdini replicasse a Napolitano, visto che quando parlava, a Prato, alle 19, non c’era stato ancora l’intervento del Quirinale».A innescare lo scontro sulle prospettive di una maggioranza in bilico, ieri, ha contribuito la notizia dell’ormai depositata mozione di sfiducia, alla Camera, da parte dell’asse Fli-Udc-Api-Mpa, che con i tre liberaldemocratici e La Malfa sarebbe già dotata, assicurano i finiani, di 85 firme. Una bufala, per Berlusconi, questo Terzo Polo, o per meglio dire "non-polo", visto che anche Fini preferisce non chiamarlo così. «Il Parlamento – replicava il Presidente della Camera, da Mestre, a un convegno della Cgia – testimonierà quel che tutti sanno, e cioè che il governo non c’è più o non è in grado di governare». Non sarà ribaltone, assicura, occorrerà «guardare a tutte le forze responsabili», a partire «da chi ha vinto le elezioni. È ridicolo – aggiunge poi Fini replicando ancora a Berlusconi – dire che siamo gli "alleati naturali della sinistra"». Irresponsabili, li definisce il premier, ma Fini parla, viceversa, di «area di responsabilità». E di voto anticipato, considerando i «chiari di luna» in cui naviga l’Italia, non se ne parla nemmeno. «È il momento – ricorda Fini – in cui l’Italia deve mettere sul tappeto 120 miliardi in titoli di Stato». Ma assicura di non temere le urne: «Se avessi avuto timori sarei stato più tranquillo».Fra le ipotesi, anche per non alimentare fratture con l’ala moderata di Fli, resta in campo, per Fini, anche il Berlusconi-bis. Sulla stessa linea si mantiene anche Pier Ferdinando Casini, che però non fa mistero di preferire, a quel punto, in caso di dimissioni, il cambio al vertice: «Tremonti ha avuto il merito di tenere sotto controllo i conti pubblici, ma la sua politica di tagli lineari è sbagliatissima. Potrebbe fare il premier, ma ci sono altri», dice il leader dell’Udc a Otto e mezzo. Poi però fa il nome che preferirebbe: «Letta andrebbe non bene, benissimo». Ma chiarisce: «Non aspiriamo a indicare noi il presidente del Consiglio. Lo indichi Berlusconi».
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