venerdì 12 giugno 2020
L'appello del ministro della Salute: tenere alto il numero per individuare subito nuovi eventuali focolai
È scontro sui tamponi: per alcuni sono troppo pochi e Speranza ne vuole di più
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Dopo lo scontro sugli asintomatici, ora tocca ai tamponi. E la storia si ripete, sempre uguale, dall’inizio dell’epidemia. Perché proprio su asintomatici e tamponi la scienza, è inutile girarci troppo intorno, non s’è mai messa d’accordo. Gli argomenti d’altronde vanno a braccetto: proprio perché si sospettava che gli asintomatici fossero diffusori del virus come i sintomatici si chiedeva da più parti – con insistenza – alle autorità sanitarie nazionali e internazionali che i tamponi fossero effettuati anche su chi malato non era (è il caso arcinoto del virologo Andrea Crisanti con la Regione Veneto, che poi è andata avanti per conto suo, seguita da Emilia Romagna e Toscana).

Eppure la linea sui test – nuovamente dettata dall’Oms – è rimasta per molto tempo la stessa, almeno nel nostro Paese: si devono fare solo ai sintomatici, recitava, ed eventualmente ai loro contatti. Anche se poi su questi ultimi nell’emergenza (e anche oltre) non sono stati fatti mai. Soltanto dopo alcune settimane si è arrivati all’estensione di quella platea anche agli operatori sanitari e a chi era impegnato in prima linea nelle attività essenziali: uno screening periodico che in alcune parti d’Italia è stato puntuale, ma che altrove ha peccato di lacune, come evidenziano alcuni focolai che in queste ore hanno coinvolto proprio ospedali (e a partire da operatori sanitari).

Ieri il ministro della Salute Roberto Speranza è tornato sulla questione con forza: bisogna «tenere alto il numero dei tamponi per individuare precocemente i soggetti positivi al Sars-Cov-2 e proprio per contenere nuovi eventuali focolai» ha spiegato nella sua informativa, prima al Senato e poi alla Camera, sulla pandemia in Italia.

Sullo sfondo, la nuova polemica sollevata dalla Fondazione Gimbe (nelle scorse settimane già molto critica con Regione Lombardia), secondo cui nelle ultime due settimane l’Italia avrebbe assistito a un crollo del 12,6% in fatto di test. Nel periodo dal 4 al 10 giugno, in particolare, 12 Regioni e Province autonome avrebbero fatto registrare un incremento assoluto dei tamponi diagnostici (i “primi” tamponi cioè, non quelli di conferma effettuati su soggetti già risultati positivi), mentre nelle rimanenti 9 si sarebbe verificata un’ulteriore riduzione. Tra cui Lombardia, Veneto e Campania, che avrebbero registrato ognuna un calo superiore ai duemila tamponi. L’attività di testing, «finalizzata all’identificazione dei nuovi casi, alla tracciatura dei contatti ed al loro isolamento – è l’accusa del presidente Gimbe Nino Cartabellotta – continua cioè a non essere una priorità per molte Regioni».

Pronte le risposte di Lombardia («abbiamo fatto 845.618 tamponi, contro i 645.309 di Lazio, Campania e Puglia insieme» ricordano dalla Regione, e il dato è senza dubbio incontestabile) e Veneto: i tamponi sarebbero diminuiti, da Nord a Sud, anche perché sono diminuiti i casi gravi di Covid e quindi il ricorso agli ospedali e all’allerta delle guardie mediche o dei presidi sanitari territoriali. Se meno gente si ammala e crescono gli asintomatici cioè – come i numeri del Bollettino certificano, visto che a casa senza sintomi o con sintomi lievi ci sono 26mila persone, cioè oltre l’85% dei malati a oggi in Italia – è anche fisiologico che diminuisca il numero di tamponi.

Un punto che preoccupa gli esperti, specie per quanto riguarda i giovani: il numero di contagi apparentemente inferiore in questa fascia d’età, ha messo in guardia ieri Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, «può infatti dipendere dal fatto che i tamponi sono stati fatti soprattutto ai sintomatici».

E un aumento degli asintomatici, oltre il 90% dei casi e soprattutto tra i giovani, si rileva in effetti anche in Puglia. Per questo, spiega l’epidemiologo Pierluigi Lopalco, a capo della task force pugliese per l’emergenza coronavirus, «noi abbiamo aumentato i tamponi: stiamo facendo molti test nonostante non ci siano focolai attivi». Ciò perché, conclude, «stiamo cercando di proteggere, in particolare, gli ospedali, facendo tamponi a personale sanitario e ai pazienti che entrano per un ricovero dovuto a motivi estranei al Covid».

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