mercoledì 17 settembre 2014
​Manca uno strumento idoneo alla misurazione. Fiasco (Consulta antiusura): «Troppo facile scommettere, non ci sono ostacoli. Come noi solo Macao»
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Poche righe. Che, invece di saziare, lasciano la bocca asciutta. La Relazione annuale del Dipartimento antidroga, presentata lunedì scorso, dedica al gap (gioco d’azzardo patologico) uno spazio esiguo e nessuna informazione davvero nuova. I 'soggetti in trattamento', ad esempio. Nel 2012 erano 5.800, un anno dopo sono 6.804 ma attenzione: le Regioni non sono obbligate a comunicare i dati, così nel 2013 ne mancano all’appello addirittura otto, alcune piccole come Molise o Valle d’Aosta, altre invece grandi come Emilia Romagna, Piemonte, Puglia e Toscana. Alcune non avevano comunicato i dati del 2012 e comunicano quelli del 2013, altre viceversa. Così un confronto è arduo.  L’unica cosa certa è che i giocatori patologici aumentano, anche sei i circa diecimila in cura (tenendo conto dei dati regionali mancanti) sono poca cosa rispetto agli 800 mila stimati. Tanto da far dire a qualcuno che il gap è un’invenzione... «Sciocchezze» commenta aspro Maurizio Fiasco, il sociologo della Consulta nazionale antiusura che è tra i massimi esperti sul tema. «La verità è che è il servizio a creare la domanda, non viceversa. E alla fine quel che conta è la soglia: se è alta e difficilmente accessibile, oppure se non esiste praticamente più». Bisogna seguire Fiasco passo dopo passo. «Sì, il servizio crea la domanda di interventi terapeutici». Paradossalmente, se non esistesse alcun servizio, nessun Serd, nessun gruppo di autoaiuto, niente di niente, la domanda di servizio sarebbe del tutto assente e potremmo serenamente concludere che il gap in Italia non esiste, per la felicità dell’industria dell’azzardo di massa. «Proprio così. Il confronto è impietoso. Il gioco d’azzardo industriale di massa ha abbattuto ogni soglia. Prendiamo ad esempio la Francia, con 230 casinò dislocati però tutti in località turistiche, con l’obbligo di fornire servizio alberghiero e di ristorazione. Un casinò in un arrondissement parigino è impossibile. E la soglia rimane alta: l’azzardo bisogna andarlo a cercare ». E in Italia? «Con 420 mila slot e 10 mila sale, più l’online, ogni soglia è stata abbattuta, in modo consapevole e programmatico. Il giocatore non ha ostacoli tra sé e la possibile deriva patologica». E i servizi? «Il giocatore caduto nella patologia ha invece almeno quattro grosse soglie da varcare. Deve riconoscere di essere ammalato e di avere bisogno di aiuto, scoprire che c’è chi può aiutarlo, dove si trova, come rivolgersi a lui. Per diventare utente di un servizio, come i 6804 censiti nel 2013, deve superare soglie crescenti di competenza». In breve: per ammalarsi nessuna soglia, per curarsi molte soglie. Il Rapporto ammette, poi, che «a oggi non esistono studi e dati epidemiologici accreditati in grado di quantificare correttamente il problema, sia nella dimensione che nella diffusione», pur premettendo che il fenomeno «è in continua crescita». Ma allora gli 800 mila malati d’azzardo sono una nostra fantasia? Fiasco sorride: «Intanto sono molti di più. La cifra è ricavata sulla base di criteri della letteratura internazionale, che però fanno riferimento a paesi come Usa, Canada, Francia, Germania... dove non esiste il gioco d’azzardo a bassissima soglia. Noi siamo un’anomalia assoluta, forse in compagnia della sola Macao. E avremmo bisogno di strumenti di rilevazione studiati per le nostre particolarissime condizioni». Strumenti che mancano. Da dove cominciare? «Un dato esiste, lo ricorda la Relazione: il flusso monetario. Enorme, 100 miliardi di euro, nero compreso. Un altro viene sciaguratamente ignorato, ed è il tempo. Quanto ne occorre per spendere quei miliardi 'a bassa soglia', ossia non con poche grosse puntate ma con innumerevoli giocate minime e iterate?». Il calcolo è presto fatto: «Ci vogliono 70 milioni di giornate lavorative, un terzo delle giornate di vacanze degli italiani. Questa è la prima patologia generata dal sistema dell’azzardo di massa». E poi? «Non si tiene conto che il problema è sanitario ma anche relazionale. Il giocatore patologico trascura, fino a dimenticare del tutto, famiglia, figli, amici. Con una sofferenza relazionale incalcolabile». Anche questo non è stato ancora rilevato. Manca lo strumento adatto. Ma se non è misurata, non significa che quella sofferenza non ci sia.
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