mercoledì 11 maggio 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
Si raccolgono le firme per far diventare la pizza patrimonio dell’Umanità e intanto domenica sul lungomare di Napoli si cercherà di raggiungere il record della pizza più lunga della storia: 2 chilometri. Tutto bene, tutto divertente, ma siamo ancora nella fase un po’ goliardica di un prodotto che significa anche economia. In nessun caso si entra nel merito di quel fattore che del marketing è baluardo, ossia la qualità. Ma quale pizza vogliamo che diventi patrimonio dell’Umanità? Quella indistinta che non si digerisce e che fa bere acqua tutta la notte? Oppure si sono fatti passi avanti sugli impasti, sulla ricerca delle farine, sulla qualità e quindi un’iniziativa pubblica può diventare occasione per raccontare l’Italia del gusto che fa passi avanti anche su un prodotto popolare come la pizza? Ma qui entra la politica, spesso, che non va mai di pari passo con quello che è un lavoro. Qualcuno metterà il cappello su questa e quella iniziativa, ci saranno (anzi già ci sono) titoli di giornali e foto, ma senza poi capire quale sia il progetto che accompagna un progresso. Il Made in Italy alimentare non è una cosa scontata: è un progresso verso l’affer-mazione della qualità italiana. E quindi è un lavoro. Lunedì scorso a Vighizzolo d’Este, dove c’è il Molino Quaglia, un pizzaiolo originario di Tramonti, paese che ha dato i natali a 3.000 pizzaioli, ha radunato i suoi colleghi per parlare dell’identità della loro pizza. Che ha pure la De.Co. (denominazione comunale). Ma la confusione regna sovrana. Per i pizzaioli di Tramonti, con la loro pizza che ha una storia giacché in passato era un impasto di vari cereali (quanto mai attuali) i quali hanno preferito comunicare che facevano la pizza napoletana. Eppure la vera pizza napoletana è quella morbida, mentre la pizza di Tramonti è croccante. E poi storicamente ha un quid, che Carmine Nasti di Bergamo ha codificato come 'pizza integrale impasto di Tramonti' con il finocchietto selvatico. Pizza freschissima, adatta alle esigenze dietetiche di oggi. La De.Co. ha fissato alcuni elementi sui quali si può scommet-tere, ma se poi non c’è un lavoro, la De.Co. è inutile. Anzi crea confusione, perché c’è sempre qualche politico che immagina che quella delibera comunale sia la via breve per ottenere marchi, certificazioni e quant’altro. Ma non è così. E non si può restare sempre sulla superficie. Occorre una strategia, mentre ancora si pensa che il lavoro termina nel momento in cui viene stampata una bella foto su un giornale. La pizza italiana - questa è la novità vive un momento di distinzione qualitativa. Pochi lo hanno capito, ma quei pochi (almeno 200 pizzaioli oggi) sono le avanguardie di un progetto inarrestabile. Questo è vero patrimonio. Ma qualcuno a Roma se ne sta accorgendo? © RIPRODUZIONE RISERVATA
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: