sabato 10 luglio 2010
Il presidente dell’Antimafia: «Ma non si possono escludere servitori infedeli o deviati». «Quei terribili eventi nati dalla convergenza di interessi diversi fra Cosa nostra, altre organizzazioni criminali, poteri occulti, pezzi delle istituzioni, affari e politica».
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«Escludo che lo Stato, inteso come entità politica e istituzionale ai massimi livelli, abbia trattato con la mafia nel periodo delle stragi del 1992-93. Questo non significa affatto negare, però, la presenza o la complicità di servitori infedeli o di pezzi o brandelli deviati delle istituzioni in quel tragico e ancora oscuro capitolo». Il presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Giuseppe Pisanu (Pdl) interviene nella polemica che si è riaccesa dopo le rivelazioni di testimoni e pentiti e la riapertura di processi in Sicilia. Pisanu chiede «di tornare allo spirito originario» del ddl sulle intercettazioni «impedendo ogni abuso, ma non comprimendo le indagini e la libertà di stampa». E interviene sulla lite in casa Pdl tra Fini e Berlusconi: «Devono tornare a parlare dei problemi degli italiani».Senatore Pisanu, una delle accuse più gravi che si muovono al discusso ddl sulle intercettazioni è quello di ostacolare, nei fatti, la lotta alla criminalità mafiosa. Dal suo osservatorio privilegiato, lei che ne pensa? In realtà, anche nelle formulazioni più rigide del provvedimento, le indagini di mafia erano e restano salvaguardate. Semmai si rischia sui reati cosiddetti "spia" o "apripista": quelli cioè apparentemente comuni ma che, col procedere delle indagini, rivelano la loro matrice mafiosa.E, dunque, che modifiche suggerirebbe?Bisogna tornare all’intenzione originaria del provvedimento che era quella di porre fine a ogni abuso, senza compromettere l’efficacia di questo prezioso strumento investigativo e senza comprimere indebitamente la libertà di stampa. Mi pare che gli emendamenti in preparazione alla Camera vadano nella direzione giusta. La sua relazione sulle stragi del 1992-93 ha suscitato un ampio dibattito e anche qualche polemica. Lei ha detto che nella regia di quel tragico periodo non c’è solo mafia. Cosa voleva intendere?Non fu solo mafia, nel senso che la strategia di quei terribili eventi nacque dalla probabile convergenza di interessi diversi fra Cosa nostra, altre organizzazioni criminali, poteri occulti, pezzi o brandelli deviati delle istituzioni, affari e politica. Non è una matassa facile da sbrogliare: ancora oggi, a 17 anni di distanza, non riusciamo a ricomporre in maniera plausibile la verità giudiziaria, quella politica e quella storica.Carlo Azeglio Ciampi, che fu premier in quella drammatica stagione, ha recentemente detto che temette un golpe o qualcosa di simile.Ciampi temette il peggio nella notte del 27 luglio 1993, quando udì i boati delle bombe a San Giovanni in Laterano e al Velabro, e vide Palazzo Chigi piombare in un misterioso black out, che poi risultò essere un incidente tecnico. Mezz’ora prima, a Milano, una bomba aveva ucciso cinque persone e danneggiato gravemente il padiglione di Arte contemporanea. Per di più in quei giorni l’intero sistema politico vacillava sotto i colpi di Tangentopoli mentre da servizi segreti stranieri, come il Mossad, giungevano voci di possibili azioni destabilizzanti dell’estrema destra. Mi sembra che ci fosse di che preoccuparsi...Il punto più spinoso e drammatico della questione è quello di capire se ci fu davvero, come dicono alcuni pentiti, la trattativa tra lo Stato e la mafiaÈ possibile che, accanto ai mafiosi e ad altri soggetti, si siano trovati anche dei servitori infedeli delle istituzioni. Ma lo Stato in quanto tale non è mai sceso a patti. Anzi, la sua risposta fu così dura da costringere "Cosa Nostra" a ripiegare con gravi perdite su quella via dell’inabissamento, dalla quale, fino a oggi, non è più uscita.Negli ultimi tempi abbiamo assistito a molti successi delle forze dell’ordine e della magistratura contro la mafia: arresto di numerosissimi latitanti e confisca di ingenti patrimoni. La mafia è oramai alle corde?Si è ridotta drasticamente la capacità di tipo "militare", ma la mafia mantiene intatto il suo potere di intimidazione. E, infatti, continua a condizionare pesantemente l’economia, la società e anche le istituzioni, specialmente quelle locali e regionali. Se il braccio armato è sostanzialmente bloccato, il braccio politico-affaristico è molto attivo e corrompe tutto quello che tocca.Veniamo alla guerra interna al Pdl tra il premier e il presidente della Camera. Lei come la vede?Ciò che complica oggi la vita del Pdl non è solo il dissidio tra Fini e Berlusconi, ma anche il confuso agitarsi di correnti e correntine, tutte pienamente fedeli al leader e allo stesso tempo in contrasto fra loro.Ma secondo lei come se ne può uscire? Con la separazione consensuale? O cos’altro?Penso che il Pdl debba ricostruire la sua unità intorno a un progetto politico per i prossimi tre anni. Un progetto, sia ben chiaro, per fare uscire il Paese dalla crisi generale che lo attanaglia. Di questo, non di altro, dovrebbero discutere Berlusconi e Fini, perché su questo si può ritrovare l’intesa.Non crede che le miniscissioni all’interno del Pd e il conflitto nel Pdl, due formazioni politiche nate dalla somma un po’ forzata di diversi partiti, siano il sintomo di una crisi profonda del bipolarismo italiano, che forse non è mai nato?Oggi il bipolarismo è in difficoltà per l’evidente inadeguatezza dei due schieramenti di fronte ai grandi problemi del Paese. Ma non è finito. E, comunque, dobbiamo correggerlo e salvarlo, perché è un meccanismo indispensabile alla democrazia matura dell’alternanza. E cosa occorre allora fare per salvare il bipolarismo?Bisogna rendere più omogenei al loro interno i due schieramenti, anche a costo di scomporre per poi ricomporre. Non è logico né utile al Paese che il funzionamento del meccanismo bipolare sia dominato, come oggi accade, dalle componenti minoritarie, la Lega da una parte, l’Idv dall’altra. Finora queste due forze hanno alimentato più lo scontro che il confronto costruttivo tra maggioranza e opposizione, ricavandone un considerevole vantaggio elettorale a danno della governabilità e dei loro stessi alleati.La crisi economica incombe e il dibattito politico in Italia sembra come ingabbiato dalle polemiche ideologiche. Come se ne esce?O maggioranza e opposizione ritrovano il terreno del confronto sui problemi che gli italiani considerano vitali, oppure le cose precipiteranno e andremo, nelle peggiori condizioni, a un pessimo confronto elettorale.Lei ha recentemente denunciato l’altissimo livello di corruzione del nostro Paese. È stato criticato all’interno del suo partito per questo...Se mettiamo insieme i 60 miliardi di euro all’anno di corruzione endemica stimati dalla Corte dei Conti e i 120-140 miliardi di fatturato annuo di origine mafiosa, cogliamo la misura concreta del degrado etico-politico che corrode le radici stesse dell’economia, della società e della democrazia italiana.
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