venerdì 29 luglio 2016
Gli ultimi mille allontanati dal campo, che in primavera aveva raggiunto quota 8mila persone. Destinati verso centri più piccoli, molti scelgono la fuga.
LE STORIE «Adesso non sappiamo dove andare»
Migranti, l'ultimo sgombero al Pireo
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PIREO (GRECIA) «Ci hanno sgomberati mercoledì mattina. Erano quattro mesi che non dormivo in un letto vero». Sayed viene da Kabul ed è un cristiano convertito. Non sa ancora se essere contento o preoccupato. È appena arrivato a Oinofyta, nel cuore della Beozia, dove ha sede il centro attrezzato per migranti cui è stato destinato dalle autorità elleniche. Un piccolo modulo abitativo per sé e la sua famiglia. Fino a due giorni fa, dormivano sotto una tenda, sulla banchina E1 del porto del Pireo. Sono stati tra gli ultimi ad abbandonare la enorme tendopoli che per mesi ha occupato lo scalo marittimo, a pochi chilometri da Atene. Da ieri, quell’accampamento non esiste più. «Al Pireo siamo rimasti due mesi – racconta Sayed – altri due li avevamo trascorsi a Lesbo. Ora, Dio solo sa quanto rimarremo qui». Stando ai dati diffusi dalla Guardia costiera greca, lunedì mattina, quando sono iniziate le operazioni di sgombero, erano rimaste poco più di mille persone nello scalo ellenico. Siriani, iracheni, afghani e pakistani. Qualche nordafricano. I trasferimenti sono andati avanti fino a ieri, al ritmo di 400 al giorno. Uno sgombero progressivo, per una tendopoli che la scorsa primavera era giunta ad ospitare 8mila rifugiati. «Oltre a Oinofyta, sono stati portati nel centro attrezzato di Trikala, in Tessaglia – spiega Asimina Bakali, una delle operatrici del gruppo greco Solidarity Now, che in questi mesi ha presidiato quotidianamente il porto del Pireo –. Tutto si è svolto al meglio. Del resto, i richiedenti asilo conoscevano la propria sorte, ormai da settimane ». Lo sgombero era stato annunciato. Dapprima solo voci. Poi le voci si sono tramutate in dichiarazioni istituzionali. «Il Pireo è solo l’inizio – le parole del ministro per le Politiche migratorie, Yiannis Mouzalas – e a seguire, sarà la volta di Elliniko, l’altro campo, vicino all’aeroporto Venizélos, dove vivono ancora circa 3.500 persone». «Erano mesi che minacciavano la chiusura di questo campo – testimonia Yarbanna, trentenne, saharawi di Al Aaiun, ora ospitato nella struttura di Trikala –. Al Pireo ero arrivato a marzo. All’epoca ci vivevano almeno 7mila persone. Siamo diventati sempre di meno, ma le condizioni non sono mai migliorate». In tutto i migranti potevano contare su una cinquantina di bagni chimici e una dozzina di docce. Mentre l’assistenza medica era quella fornita dai pochi volontari delle organizzazioni non governative presenti. L’emergenza sanitaria era continuamente dietro l’angolo. Jinn Khan ha 25 anni e viene da Wazirabad, nel Punjab pakistano. Anche lui è stato trasferito a Oinofyta. Ma fino a lunedì scorso dormiva all’interno della piccola stazione marittima del gate E1. «Non ce la facevamo più – racconta –. Il caldo, di giorno, stava diventando insopportabile. Di notte non si riusciva a dormire. Il cibo non era buono». E poi le risse, sempre più frequenti. A metà luglio un migrante afghano è rimasto ucciso, nel campo di Elliniko, accoltellato a morte da un connazionale, dopo un alterco. «Abbiamo paura – confessa Jinn – e siamo stanchi. Attendiamo una risposta da mesi alle nostre richieste d’asilo. Spero che ora l’Europa ci dia una mano. Siamo esseri umani anche noi». Il limbo burocratico, per chi si affida alla via legale, è estenuante. Molti hanno come obiettivo quello di essere ricollocati in un altro Paese dell’Unione europea, mediante il programma d’emergenza voluto da Bruxelles. Ma, come prima tappa, bisogna avanzare una richiesta d’asilo alle autorità greche. L’intervista può avvenire esclusivamente via Skype. Ma nessuno risponde alle chiamate. «Carenza di personale» si giustificano da Atene. «Ho chiamato per settimane. Ma niente». Alaa, 27 anni da Aleppo, ora vive a Trikala. Al Pireo era giunto tre mesi fa. Per arrivare in Grecia, con sua moglie e sua figlia di due anni, ha speso 6mila euro finora. «Vorrei solo poter chiedere asilo, legalmente – dice –. Se non me lo permetteranno, sarò costretto a tornare dai trafficanti e a tentare di farmi portare in Svezia». Un 'passaggio' per l’Austria, via Balcani, costa 2.500 euro. Ma gli smuggler, i trafficanti, stanno riprendendo a far soldi anche in Turchia. Quasi mille persone hanno raggiunto le isole greche di Lesbo, Chio, Samo e Kos, nelle ultime due settimane. Un’impennata che si è fatta più rilevante subito dopo il fallito tentativo di golpe dello scorso 15 luglio, ad Ankara. La metà è approdata a Mitilene, dove tra sabato e domenica scorsi si sono registrati 222 arrivi. Vanno ad aggiungersi ai circa 57mila migranti attualmente bloccati nel Paese ellenico. «Continuano a partire perché pensano che ce la faranno – dice Alaa –, che troveranno facilmente asilo qui in Europa. Lo pensavo anch’io. Ma mi sbagliavo». © RIPRODUZIONE RISERVATA Tende improvvisate nell’accampamento del Pireo, in Grecia
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