mercoledì 14 settembre 2022
Il sindaco Ferrari, Fdi, si oppone alla grande nave in città. Il governatore toscano, Giani, promette una pioggia di milioni sulla città. Il vescovo Ciattini: la comunità va coinvolta veramente
Le acciaierie Lucchini di Piombino in un'immagine d'archivio

Le acciaierie Lucchini di Piombino in un'immagine d'archivio - Costa Etrusca/Barlettani

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Sui gradini del Cinema Metropolitan, in questo pomeriggio di fine estate che profuma ancora di cacciucco, Patrizio Andreoli va in cerca del suo “popolo di riferimento”, come lo chiamava Antonio Gramsci. Lo cerca negli occhi dei ragazzi che attraversano piazza Verdi, ma loro non li alzano dal cellulare: Livorno è a due passi, eppure all’algoritmo il nome del fondatore del Pci non dice nulla. Lo cerca negli operai, ma loro non sono in piazza: in questa città-simbolo della siderurgia italiana non si cola acciaio da un decennio e la vera lotta di classe è portare la cassa integrazione fino alla pensione. Sul finire del pomeriggio maremmano, il candidato locale del “nuovo partito comunista” trova il suo popolo di riferimento in un manipolo di agit pro che lo ascoltano, incanutiti dalle troppe battaglie: rappresentano “la vera sinistra”, come dicono loro, sottintendendo che quella “falsa” ha il volto di Calenda. Anche lui, che in qualche modo eredita il socialismo liberale di Rosselli e Gobetti, in queste elezioni cerca il suo “popolo di riferimento” ma a Piombino, dov’è venuto nei giorni scorsi per difendere il rigassificatore, ha trovato solo fischi.

In piazza Verdi, Maria Cristina Biagini ci elenca tutte le nequizie del progetto Snam, che si sommano ai pregressi scempi ambientali subiti da questa città inossidabilmente industriale. Maglietta d’ordinanza del “No”, la signora fa parte dei comitati che sostengono Francesco Ferrari, sindaco ircocervo, metà “fratello” (d’Italia, per via di tessera) e metà civico-ambientalista, che rappresenta politicamente il fronte del No. Non sorprende che la Meloni lo abbia coccolato e poi scaricato sull’altare dell’emergenza energetica: «Se non ci sono alternative si fa a Piombino», ha detto la candidata premier e lui non si è scomposto. Si prepara a gestire politica e piazza, in caso di vittoria del centrodestra.

Come si fa glielo potrebbero spiegare i sindaci del Pd della valle di Susa. Dopo decenni di cortei e sassaiole, hanno mandato giù il contestatissimo traforo in cambio di strade, parchi e altre opere pubbliche per 98 milioni di euro, distribuiti tra 22 Comuni. Questa volta, però, il governo ne mette seicento sul piatto di una sola città. E soltanto per ormeggiare una nave. La differenza è che non abbiamo trent’anni per aspettare. Se vogliamo farci il caffè la mattina e riscaldare le nostre case, dicono a Roma, entro marzo dobbiamo allacciare la Golan Tundra alla rete del gas.

Snam lo ammette: «La localizzazione a Piombino è stata decisa, di concerto con le istituzioni, a valle di approfondimenti – scrivono i suoi tecnici – che hanno individuato la località come l’unica in grado di assicurare, per ragioni tecniche (pescaggio del fondale, lunghezza della banchina e prossimità alla rete di trasporto), l’entrata in funzione del terminale in tempi compatibili con l’attuale criticità energetica». La fretta ha un prezzo, che sale giorno dopo giorno come quello del gas sulla borsa di Amsterdam.

Se arriveranno tutte le autorizzazioni – il commissario di governo conferma nell’intervista ad Avvenire che lavora in questa direzione – il bastimento sarà ormeggiato alla banchina Est della Darsena Nord. Può rigassificare 5 miliardi di metri cubi di gas naturale, cioè un sesto della quantità importata dalla Russia, ed entrerà in esercizio nella primavera del 2023.

Ingombrante è ingombrante. Ma è anche dannoso? Snam rigetta le accuse alla sicurezza marittima e aggiunge che «non comprometterà la vocazione turistica di Piombino», cioè non interromperà il flusso dei traghetti per l’Elba e la Corsica, anche un centinaio al giorno in estate; quanto all’ecosistema marino, anche se il cosiddetto “ciclo aperto” della rigassificazione utilizza l’acqua di mare e rilascia ipoclorito, l’attività «non comporterà alcun impatto sulle attività di itticoltura localizzate nel golfo di Follonica».

Ferrari e i comitati non ci credono e in questi mesi hanno mobilitato la popolazione. Ora che la partita si chiude con le elezioni e la firma di Giani, il primo cittadino deve fare le sue scelte. Come amministratore sarà chiamato a discutere di soldi. I comitati sperano che non molli. Non hanno mandato giù le aperture di Meloni al rigassificatore: «Non lo vogliamo e le compensazioni non sono altro che stanziamenti già promessi molte volte per la chiusura dell’acciaieria e mai erogati», afferma la Biagini.

Il nodo ha un capo del filo tecnico e uno sociale. Sul piano tecnico, si contesta soprattutto la sicurezza delle manovre di attracco delle metaniere nel piccolo porto toscano. Sul piano sociale, però, la memoria industriale di Piombino è ancora viva e non solo per via di quei 1.600 dipendenti (di cui 700 in cassa integrazione) che sopravvivono a laminare acciaio, da quando, nel 2014, l’altoforno è stato spento. La fabbrica è stata per un secolo la “grande mamma” di questi maremmani, conformandone l’intera vita sociale, politica ed economica.

Fino a qualche decennio fa, l’acciaieria dava lavoro a tutti e il partito, attraverso il sindacato, elargiva assistenza, scuola e cultura al territorio, con puntualità e pervasività. La fabbrica finanziava i circoli e i cinema, le vacanze in Cadore, gli studi dei figli… Sei-due, due-dodici, notte: il ritmo di vita delle famiglie era scandito dai turni all’altoforno. Si abitava al Cotone, le case erano moderne e comode, e tutti potevano permettersele perché la fabbrica gliele affittava a prezzo politico. Rimangono muri scrostati con troppi tubi arrugginiti che puntano verso comignoli muti, in attesa che Jindal chiarisca se intende continuare o passare la mano. Adesso, il quartiere operaio è kasbah.

Francesco Ferrari è stato eletto sindaco grazie al proprio carisma e alla rabbia generata dall’impoverimento. Il Pd cerca di riprendersi l’antico feudo proprio con le compensazioni.

Il memorandum Giani prevede opere al porto e bonifiche alle aree industriali dismesse, sostegni al turismo e agli allevamenti ittici, progetti di ricerca, strade ecc. Una pioggia di soldi cui, se l’Europa non si metterà di traverso, potrebbe aggiungersi un bonus in bolletta per chi investirà per rilanciare l’attività siderurgica, magari rimpiazzando il vecchio altoforno a carbone con un forno elettrico. Nei desideri di una parte della classe politica e imprenditoriale maremmana, dunque, il rigassificatore dovrebbe aprire uno scenario da “ritorno al futuro”, dischiudendo la prospettiva di una nuova fase industriale.

Sicuramente, dopo aver avuto il via libera del governo Draghi, il governatore toscano si prepara a firmare le autorizzazioni a Snam, il 27 ottobre, e Ferrari, da buon avvocato, minaccia di mettere in mora quella firma, se il Comune non avrà un ruolo diverso nella partita, che finora l’ha visto sullo sfondo.

«I tre rigassificatori esistenti in Italia sono posizionati lontano dai centri abitati – argomenta il primo cittadino – e se si è deciso di farsi carico dei costi necessari per collocarli in alto mare è perché esiste un’esigenza di sicurezza. Noi sospettiamo che la scelta di collocare la nave all’interno del nostro porto sia dettata dalla fretta». Ricorda che la situazione degradata dell’area «riconosciuta nell’escludere Portovesme, curiosamente, non lo è stata nella valutazione su Piombino» e stigmatizza che si chieda «un nuovo sacrificio a una città che ha già dato». Insomma, Ferrari fa muro e promette che vigilerà «perché il procedimento amministrativo segua i canoni della correttezza». In caso negativo, annuncia, «valuteremo se ricorrere all’autorità giudiziaria», ma è chiaro che tutto sarà deciso dopo il voto del 25 settembre.

Il vescovo: la comunità va coinvolta veramente

«Più che partecipare a un referendum – rigassificatore sì o no – la Chiesa locale pone una questione di metodo», dice il vescovo di Massa Marittima e Piombino, monsignor Carlo Ciattini. «È urgente dare delle risposte concrete alla crisi energetica e ciascuno deve fare la propria parte. Tuttavia, i problemi che ricadono su un territorio non possono essere affrontati con scelte “dall’alto”, senza che la popolazione ne sia partecipe. Serve un dialogo, ma che non sia un “falso” dialogo… Sarebbe utile rileggere il numero 133 della Laudato si’, che sollecita studi preventivi alle scelte che impattano sull’ambiente.

Abbiamo perso troppo tempo prezioso per renderci conto di una scelta così complessa: il tessuto sociale si può lacerare quando le comunità non sono coinvolte, quando si lasciano emergere sospetti che interessi non dichiarati guidino le scelte. Non dimentichiamo che Piombino ha un’anima ferita e vive problemi antichi: piani industriali non attenti alla salute pubblica, un territorio inquinato e deindustrializzato, dove altri tipi di investimento – come il turismo – non hanno assunto valore. Insomma, qui si vivono delle sofferenze reali che vanno soccorse, medicate. La medicina è la trasparenza e la vicinanza alle popolazioni, spiegando perché si fa una cosa. E farla insieme alla gente».

La Chiesa locale dedica quest’anno pastorale al mare e il primo ottobre presenterà il libro fotografico “Il mare, una luce su Piombino” alla presenza del direttore dell’Ufficio per la Pastorale sociale e del lavoro della Cei, don Bruno Bignami.

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