domenica 12 marzo 2017
«Non si può imporre ai medici di violare la propria deontologia»
«Più spazio a un vero confronto clinico»
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Lei è il padre della 'quasi legge' sulla Dat, fermata dalla fine della scorsa legislatura. Che differenza c’è con l’attuale ddl sul fine vita?
Sono tre le diversità – risponde Raffaele Calabrò, deputato di Area Popolare, protagonista del confronto parlamentare – . Il disegno in discussione non indica il momento da cui acquistano attualità le Dichiarazioni anticipate di trattamento, il che significa che se hai anche solo una temporanea perdita di capacità di intendere e volere le Dat potrebbero scattare e rendere impossibile un provvedimento terapeutico; il medico nel testo attuale è tenuto a rispettare la volontà del paziente anche se incongrua con le proprie conoscenze professionali; idratazione e nutrizione possono essere sospese anche quando rappresentano solo un sostegno vitale e non una terapia.

Alcuni hanno già formalizzato le proprie Dat: saranno valide dopo l’approvazione? Sono pochissimi – il che dimostra che non rappresentano una priorità per il Paese reale – ma la nuova legge prevede che vengano riconosciute.

Da medico interromperebbe le cure in base a dichiarazioni scritte anni prima?
Credo che le Dat debbano avere una durata finita e definita – noi avevano individuato un termine di cinque anni – e l’interruzione delle cure dovrebbe avvenire solo dopo che il medico si sia consultato con un fiduciario del malato. In altri termini, le Dat rese in un certo momento andrebbero riattualizzate, cosa che il testo non prevede.

Interrompere nutrizione e idratazione è contrario alla deontologia medica: come si scioglie il nodo?
Distinguendo tra le forme che rappresentano un veicolo di terapie – in tal caso il paziente può scegliere se interromperle, sapendo di morire a causa della propria patologia – e quelle che sono sostegno vitale: in questo la sospensione porterebbe alla fine della vita di un soggetto biologicamente sano.

E l’obiezione di coscienza, che non c’è?
Il problema non è etico, morale o religioso: il medico deve poter rispettare la propria coscienza professionale, come prevede l’articolo 38 del Codice deontologico.

Decidere la propria morte è un diritto o una libertà?
Il crinale è questo. Nella nostra civiltà, anche giuridica, la libertà non è mai assoluta e come tale non si trasforma automaticamente in diritto. Un soggetto può scegliere di non effettuare terapie, è libero di non farlo, ma non ha il diritto di chiedere allo Stato di accompagnarlo in quello che è un suicidio.

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