mercoledì 11 maggio 2016
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ROMA La scelta comunicativa è quella di anticipare rumori di corridoio, retroscena e indiscrezioni. Così Matteo Renzi, concluso il Cdm pomeridiano, scende in sala stampa e dà lui la notizia ai cronisti: «Il sottosegretario De Vincenti non ha partecipato al Consiglio dei ministri perché ha ricevuto una comunicazione dalla Polizia per essere sentito come persona informata sui fatti in merito all’inchiesta di Potenza. Noi crediamo nel rispetto tra poteri dello Stato e abbiamo voluto dare un segnale di serietà e leale collaborazione. Siamo in prima fila nel chiedere ai membri del governo di collaborare». Segnale distensivo, ma anche messaggio politico. Il sottosegretario, spiega Renzi, ha ricevuto la convocazione alle 12 in cui si fissava l’appuntamento con i pm alle 17.30, lo stesso orario del Cdm. «Ci siamo fatti in quattro per rispondere tempestivamente – spiega il premier –. In passato qualcuno pensava di utilizzare il legittimo impedimento per rallentare i processi, noi invece siamo per accelerarli ma nelle aule, non sulla stampa. Si vada a sentenza, si dicano i nomi e cognomi dei colpevoli, si arrivi anche in Cassazione se necessario. Speriamo che questa nostra disponibilità aiuti i magistrati a sentire il massimo della collaborazione da parte del governo e segnatamente i magistrati di Potenza ad andare a sentenza senza sentire gli effetti della prescrizione». Parole di rispetto istituzionale che però servono anche a togliere alibi e pretesti a chi è pronto a gridare contro una politica che mette i bastoni tra le ruote alle inchieste. Una risposta implicita alle polemiche innescate ormai due settimane fa dal presidente dell’Anm Davigo e che proseguono ancora oggi coinvolgendo diverse toghe e il Csm. E dopo l’annuncio di Renzi alla stampa, arriva anche un sobrio comunicato dello stesso De Vincenti: «Ho immediatamente accolto l’invito ricevuto in tarda mattinata dalla procura. Ho fornito tutte le informazioni richieste chiarendo le scelte di politica industriale del governo». Inizialmente si era pensato ad una audizione a Potenza. In realtà sono i pm Francesco Basentini e Laura Triassi ad essere venuti a Roma per una due giorni di faccia a faccia con testimoni. De Vincenti, oggi numero due di Palazzo Chigi ma all’epoca dei fatti sottosegretario al Mise, è stato sentito dai magistrati perché nelle intercettazioni tra l’ex ministro Federica Guidi e il suo compagno Gianluca Gemelli veniva chiamato in causa, con fastidio, come una sorta di ' dominus' dei dossier più scottanti. De Vincenti - lo si capisce anche dal suo scarno comunicato - ha ribadito la linea dell’esecutivo: gli emendamenti riguardanti Tempa Rossa e la politica energetica nascono da specifiche scelte dell’esecutivo per sfruttare le risorse esistenti, non hanno niente a che fare con presunti comitati d’affari. I pm ieri hanno sentito anche il vicecapo di gabinetto del ministro Delrio, Teresa Di Matteo. A lei sono state chieste maggiori informazioni circa la proroga la proroga di Alberto Cozzo (uno dei sospettati di far parte della 'cricca del petrolio') al vertice dell’autorità portuale di Augusta. Delrio, che a sentire intercettazioni poi confluite nel filone siciliano, sarebbe stato anche oggetto di un dossieraggio per il quale ha presentato un esposto alla procura di Roma. Il titolare delle Infrastrutture ha più volte detto che la proroga di Cozzo era avvenuta senza avvenire pressioni ma solo in attesa di una riforma organica delle Autorità portuali. Probabile che lui sia il prossimo esponente del governo ad essere sentito: la prima fu Maria Elena Boschi a Palazzo Chigi, agli albori dell’inchiesta. Oggi invece Basentini e Triassi raccoglieranno le testimonianze del capitano di vascello Mauro Enrico Costa, di uno dei componenti della Fondazione 'Italianieuropei', Ivano Russo, del portavoce del ministero della Difesa, Andrea Armaro, e del dirigente dell’ufficio di gabinetto dello stesso dicastero Simone Mazzucca. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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