mercoledì 18 agosto 2010
Imprese familiari stroncate dal nuovo regolamento europeo del Mediterraneo: «Regole Ue scritte da chi non conosce il mare».
  • Il tonno finisce nella rete delle lobby
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    Oggi una carlofortina la manovri da solo e non perché ha un motore e un verricello: «Ci devi campare con gli scorfani e le aragoste che peschi!». Quasi te lo urlano sul lungomare di Carloforte, la patria del tonno rosso. La voce grossa, di chi fatica a tirar su reti ogni mattina. «Si esce in mare al massimo in due e certo non per le sardine: i costi del gasolio sono proibitivi, il ricavo è basso e il nuovo regolamento europeo uccide la piccola pesca»: Antonello Feola ha il volto livido di sole e di sale. Ha trascorso una vita su questi minuscoli vascelli che di giorno se ne stanno a dondolarsi nella darsena, sotto lo sguardo incuriosito dei turisti che credono di trovarsi già in un museo a cielo aperto.Nessuno dispiega più la vela latina, vanto della cantieristica di San Pietro, isola ligure in terra sarda. Sempre più vecchi e rari i marinai come Feola. Discendono dai genovesi che dal ’500 al ’700 colonizzarono l’isola africana di Tabarca, quindi si trasferirono in Sardegna e all’inizio dell’800 furono deportati su quelle stesse coste tunisine: oggi San Pietro vive di turismo, grazie ai suoi 18 miglia di spiagge e strapiombi e a un ecosistema che la rendono, come ricorda lo storico Nicolo Capriata, «un continente in miniatura». Se i nemici di ieri venivano da Tunisi, ora arrivano da Bruxelles. Con il regolamento per la pesca nel Mediterraneo l’Ue ha allargato le maglie delle reti e ha imposto misure più rigide alla cattura dei crostacei. Prima contava l’intera aragosta e dovevano essere almeno 24 centimetri; oggi si guarda il carapace, la parte rigida dell’esoscheletro che deve misurarne nove. «Ma solo un esemplare di trent’anni ha un carapace simile!» sbotta Feola. Lo stesso grido di dolore che si ascolta, di questi tempi, da Mazara del Vallo all’Adriatico. Una stagione di pesca sempre più limitata - qui, da maggio a fine agosto -, regole draconiane e verbali da 2.000 euro per chi sgarra: è crisi nera anche a Carloforte. Ai tabarchini resta il primato nel tonno di corsa - qui troviamo le ultime tonnare fisse - ma i margini della pesca a strascico si sono assottigliati vistosamente e i "piccoli" stanno estinguendosi. Prendono il largo su imbarcazioni di dodici metri, allestite dell’essenziale. La loro unica paura, ti raccontano, è rappresentata da chi fa le leggi senza conoscere quelle del mare. «Diteci voi - spiegano questi pescatori - se è possibile continuare quando il sarago sparaglione, che arriva al massimo a 20 centimetri di lunghezza, si può pescare solo dai 15 in su o la triglia deve misurarne almeno nove...» I trisavoli di Alessandro Guadalupi non colonizzarono Tabarca e non furono mai schiavi del bey. Lui viene da Albisola e faceva il commerciante, poi la passione per la pesca gli ha cambiato la vita. A dire il vero, non solo la sua: la moglie lo accompagna ogni notte in mare a caccia di aragoste. «Non si pensi che quelle regolamentari abbondino - ci spiega - . Solo un’aragosta su cento rispetta i parametri europei, il resto finisce in acqua». Oppure sul mercato nero? «Nient’affatto: il mercato nero tiene bassi i prezzi. Per ricavare duecento euro dalla piccola pesca devi tirare su almeno venti chili di pesce». Mica facile, quando a dodici miglia dalla costa quella a strascico spazza i fondali dove si riproducono le triglie. Pescatori contro pescatori, insomma, la classica guerra dei poveri. Per riposarsi, ago e filo, il presidente della cooperativa Madonna di Bonaria, Giammario Smorra ripara nasse e palamiti. Da una scrivania mangiata dal tempo tira fuori un estratto conto e ci mostra la sua pensione: 430 euro al mese per quarant’anni di mare aperto.
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