lunedì 7 novembre 2022
È scontro tra il governo e le navi umanitarie. In Italia solo l'11% dei naufraghi che arrivano per mare vengono soccorsi dalle imbarcazioni delle Ong internazionali
Crisi dei migranti, perché l'Italia non apre i porti ai naufraghi

Reuters

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È scontro tra il governo e le navi umanitarie gestite da Ong internazionali con il caso della nave umanitaria Humanity 1, fatta approdare sabato sera a Catania per uno sbarco parziale che mostra chiaramente il nuovo corso dell'esecutivo sul tema dell'immigrazione. Dalla nave della Ong Sos Humanity sono state fatte scendere soltanto 144 delle 179 persone, tra cui bimbi, donne e un centinaio di minori non accompagnati; a bordo restano 35 maschi adulti ritenuti “non fragili”.

Situazione analoga per la nave Geo Barents di Medici senza frontiere da cui sono scesi a terra a Catania in 357 e restano a bordo 215 persone ritenute “non fragili”.

Viene da chiedersi se siamo tornati indietro nel tempo al 2019 e alla politica dei porti chiusi. Vediamo meglio i dettagli normativi. Intanto al largo delle coste catanesi restano in mare in attesa dell’indicazione di un porto sicuro anche la nave umanitaria Rise Above della Ong tedesca Mission Lifeline con 95 migranti e la Ocean Viking di Sos Mediterranee con 234.

Quanti sono le persone migranti che arrivano in Italia soccorse da navi umanitarie?

Stando ai numeri del Viminale va ricordato che tra il 1° gennaio e il 4 novembre 2022, le persone migranti arrivate nel nostro Paese via mare sono state 87.370. Dal 20 ottobre a oggi le navi delle Ong (Geo Barents, Ocean Viking e Humanity 1) hanno soccorso meno di 1.000 persone. Nello stesso periodo, in Italia sono approdate quasi 11mila persone. In tal senso gli arrivi da navi Ong costituiscono solo l'11% del totale degli sbarchi.



Mentre la maggioranza delle persone migranti arrivano in Italia via terra, oppure via mare con piccole imbarcazioni gestite da trafficanti, o ancora a bordo di navi della Guardia Costiera italiana dopo un naufragio.

Il soccorso in mare è un obbligo?
Sì. La Convenzione internazionale delle Nazioni unite sul diritto del mare (Unclos) stabilisce il dovere di «prestare assistenza a qualsiasi persona trovata in mare» e «procedere il più velocemente possibile al salvataggio» (articolo 98). A essa si aggiungono la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (Solas) e la Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso marittimi (Sar). Secondo quest’ultima, sono istituite - d’intesa tra gli Stati costieri - zone di ricerca e salvataggio, le zone Sar, sulle quali ciascuno stato esercita la competenza al soccorso di imbarcazioni in situazione di criticità (distress).

Quale Paese è obbligato a indicare il porto sicuro di approdo dopo un soccorso?
Il Paese responsabile della zona Sar in cui è accaduto l’evento critico deve fornire al più presto un posto sicuro (place of safety, Pos), cioè un luogo ove, oltre alla cura dei bisogni primari, sia garantito ai naufraghi l’esercizio dei diritti fondamentali, tra cui quello di asilo. Poiché la Libia e gli Stati del Nord Africa non possono essere considerati “porti sicuri”, a causa della situazione di instabilità politica e, in molti casi, del mancato rispetto dei diritti umani, in caso di soccorsi avvenuti nel Mediterraneo sono responsabili di assegnare il porto sicuro Italia e Malta. Solo una volta che i naufraghi sono scesi a terra le operazioni di soccorso possono dirsi concluse.

Davvero le navi Ong devono portare i migranti nel loro Stato di bandiera?
No, il principio esposto dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, per il quale lo Stato di bandiera della nave di soccorso è responsabile di fornire accoglienza e altro, non è supportato dal diritto internazionale. Il Regolamento di Dublino «non è applicabile a bordo delle navi», ma entra in vigore solo nel momento in cui i naufraghi arrivano sulla terraferma.

Sia la Norvegia interpellata per la nave Ocean Viking sia la Germania per la nave Humanity 1 nei giorni scorsi avevano già replicato all’Italia allo stesso modo: «La responsabilità primaria nel coordinamento dei lavori per garantire un porto sicuro alle persone in difficoltà in mare è di competenza dello stato responsabile dell'area di ricerca e di salvataggio in cui è stata prestata tale assistenza. Anche gli stati costieri confinanti hanno una responsabilità in tali questioni». Quello che lo Stato di bandiera deve esigere è che il comandante di una nave «presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita quanto più velocemente possibile» (convenzione Unclos), mentre per il resto interviene lo stato nella cui zona Sar è avvenuto l’evento critico.

Dunque la bandiera della nave che soccorre i migranti è irrilevante per quanto riguarda il porto in cui questi devono approdare.

Perché non viene modificato il Regolamento di Dublino con un meccanismo di ricollocazione automatica delle persone migranti a livello europeo?

Il nuovo Patto sulle migrazioni proposto dalla Commissione europea per sostituire il Regolamento di Dublino è in una fase di stallo totale: in altre parole, nessuna ricollocazione obbligatoria né automatica è in vista. Il giorno dopo in cui papa Francesco ha chiesto all'Unione europea una politica di collaborazione e aiuto verso Paesi come Cipro, la Spagna, l'Italia e la Grecia si è tornati almeno a parlare di un meccanismo temporaneo di solidarietà concordato a giugno 2022 su iniziativa della presidenza di turno francese per rispondere alle difficoltà migratorie degli Stati membri di primo ingresso che si affacciano sul Mediterraneo. Una sorta di sistema per ricollocare i richiedenti asilo già registrati in un Paese di primo ingresso, come l'Italia, in un altro Paese membro dell'Ue.

A firmarlo sono stati 18 Paesi dell'Ue - tra cui l'Italia - e tre Paesi associati. Il contributo assume la forma di ricollocamento (presa in carico in uno Stato membro di richiedenti asilo già registrati in un paese di primo ingresso) o, per i Paesi che non accettano questa forma di solidarietà, si prevedono altri contributi o finanziari o di personale per la gestione dei confini. Oltre all'Italia, hanno firmato l'accordo Germania, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Spagna, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein.

Invece non hanno aderito Polonia, Ungheria, Austria, Danimarca, Estonia, Lettonia, Slovacchia, Slovenia e Svezia.

Va ricordato che già nel biennio 2018-2019 con l'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini si era tentata la strada di analogo meccanismo di ricollocamento non obbligatorio delle persone soccorse dalle navi umanitarie internazionali e aveva portato, proprio perché le persone migranti soccorse dalle Ong sono una piccola parte del tutto, al ricollocamento di 2.131 persone, mentre 34.841 persone erano rimaste in Italia. Vale a dire il 6% ricollocati, il 94% rimasto in Italia.

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