mercoledì 31 agosto 2016
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Non c’è solo il ricovero dei sopravvissuti al terremoto fra i problemi da risolvere in tempo reale: c’è anche un gregge di 22mila pecore da accudire e di 11 mila vacche da latte, che sono bloccate, giacché il solo problema della viabilità non permette il ritiro del latte. E questo è ciò che riguarda gli aspetti di urgenza, mentre poi bisognerà tenere viva la memoria di un bisogno, perché non si dimentichi in fretta quella microeconomia in paesi feriti. Ogni terremoto, da quello dell’Aquila a quello dell’Emilia, vive delle medesime situazioni: emotività e dimenticanza, che è quella che arriva nei periodi più difficili, ancor più ora che s’affacciano autunno e inverno. Fa tuttavia ben sperare la catena di solidarietà che si è subito organizzata, mentre fanno male le polemiche futili che hanno accompagnato le prime iniziative. Una in particolare, quella di legare Amatrice al suo piatto più celebre, è un’idea che è venuta in mente, in contemporanea, a molti. Poi c’è stata la rincorsa a metterci il cappello; ma che importa? L’importante è il risultato, l’intenzione di fondo. 

 

A Torino la sindaca ha raccolto 10mila persone che hanno fatto la fila per mangiare un piatto di spaghetti all’Amatriciana, mentre si leggeva della protesta dei vegani, perché negli ingredienti c’era il guanciale (ma vi pare?). C’è chi ha proposto di mettere in ogni menu il piatto simbolo di Amatrice, chiedendo un euro in più ai clienti mentre l’altro lo metterebbe il ristoratore. E subito qualcuno ha fatto presente che quel piatto, magari fatto pagare 8 euro, di materia prima ne costa 1. Siamo all’ideologia del sospetto: ma chi sa cosa verserà poi un ristoratore? C’è chi verserà i 2 euro a piatto e chi tutto: ognuno sarà libero di fare quel che crede, e nessuno può aver la pretesa che sia il mondo della ristorazione a risolvere l’intero problema, come nessuno deve fare il processo alle intenzioni, per cui chi prende l’iniziativa lo farebbe solo per interesse (mediatico ed economico). L’importante è fare, animando una catena di solidarietà che possibilmente non si spezzi, ma resista il più a lungo possibile, anche quando ci si sarà messi la coscienza a posto, dimenticando una tragedia di persone, famiglie, luoghi. È stato scritto anche di inviare vino e sigarette, perché è qualcosa che serve a riportare serenità.

 

Come dargli torto, se pensi che in fondo vorresti accoglierle a casa tua quelle persone che non si vogliono muovere dalla loro terra, giustamente. E allora ci si dà da fare perché abbiano quello che ognuno di noi ha, il più possibile. Ricordo quando negli anni Settanta ci fu il terremoto in Friuli e i ragazzi del mio oratorio portarono i canti, la compagnia ai bambini, supportando un momento di smarrimento. Ognuno può fare qualcosa. E tutto serve, se pensato con sincera compassione e amore.

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