martedì 21 aprile 2015
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Non è vero che una vita non ha prezzo, che non si può quantificare il valore di un bambino strappato agli abissi o di una famiglia di profughi salvata da una guerra. Il tariffario c’è. E i ragionieri dell’austherithy, quelli del no a “Mare Nostrum” perché costava troppo, lo sanno. Nel borsino delle vite a perdere siamo a 26 mila euro per ogni migrante perduto. Un calcolo semplice. E tragico. L’operazione italiana di ricerca e soccorso in mare è costata 9,5 milioni al mese. Da novembre a oggi avremmo risparmiato circa 57 milioni. In realtà, come conferma un portavoce della Marina, i mezzi italiani comunque messi a disposizione di “Triton”, l’operazione europea coordinata dall’agenzia Ue Frontex, costano circa 3,2 milioni al mese, riducendo il “risparmio” a 39milioni. Appunto, 26 mila eu ro per ogni essere umano che non abbiamo tratto in salvo. Marina e Guardia Costiera quando possono se ne infischiano di Frontex. Con il pretesto della sicurezza della navigazione o del controllo della pesca, tengono alcune navi dalle parti della Sirte, facendo quello che certi politici italiani ed europei vorrebbero vietargli. Perché ogni onda ripete una legge non scritta. Tra i flutti «siamo tutti nella stessa barca». Nessun uomo di mare invertirebbe la rotta davanti a qualsiasi navigante in balia della corrente. Imperativi più forti di ogni calcolo. Certo è che l’Europa finora ha dato il peggio di sé. Solo tre giorni fa la portavoce del commissario greco all’Immigrazione, Dimitri Avramopoulos, lo aveva ammesso: «Non abbiamo i fondi né il sostegno politico per lanciare operazioni di salvataggio». Ma l’Italia, davvero non poteva permettersi quei 26mila euro a persona? Mesi fa da queste pagine avevamo fatto i conti in tasca a “Mare Nostrum”. Mentre a Bruxelles si stava a guardare, il nostro Paese si era assunto un compito gravoso e onorevole. Mettere in mare una fregata come la Maestrale costa 60mila euro al giorno; per nave San Marco ce ne vogliono 50 mila; 15mila per i pattugliatori. In totale, tra i 190 e i 200mila euro al giorno. Altri 100mila euro venivano messi a bilancio ogni ventiquattrore per tenere in volo elicotteri, aerei e il drone Predator. Infine, le indennità per il personale imbarcato: 920 uomini per un extra sullo stipendio di circa 100mila mila euro. Totale: 9,5 milioni al mese. Dall’1 novembre “Mare Nostrum”, come racconta ciascuno dei 1.500 morti delle ultime settimane, è solo un pezzo di storia italiana. Ma uomini e mezzi sottratti all’operazione umanitaria, forse ora se ne stanno in rada a prendere il sole? Oppure tocca comunque mantenere gli equipaggi? La favola dei “forti risparmi”, oltre che disumana, è una bufala. Qualcuno ricorda che i migranti una volta raggiunta l’Italia costano anche per questo. È vero, ma è indipendente dai salvataggi in condizioni di maggiore sicurezza, perché profughi e migranti arrivano comunque. Come si è dimostrato, la fine di "Mare Nostrum" anziché rallentare, ha aumentato il flusso, dunque i pericoli, e le vittime. Una proiezione recente della Marina Militare parla di sbarchi aumentati del 480%. E non un centesimo è stato sottratto ai trafficanti. Commentando l’ammainabandiera per “Mare Nostrum” e l’avvio di “Triton”, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di Stato Maggiore della Marina, aveva riassunto quel che è successo e quello che sarebbe accaduto: «Si tratta di due concetti completamente diversi: “Mare Nostrum” era mosso dall’aspetto umanitario e quello militare, cioè la cattura degli scafisti; con "Triton" si perdono entrambe queste attenzioni».
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