giovedì 10 luglio 2014
Il presidente della Bce chiede un sistema per realizzare gli interventi strutturali analogo a quello predisposto per i bilanci, un’idea «che avrebbe un forte motivo d’essere». E Juncker insiste sulle «note applicative» delle regole già esistenti.
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Nel dibattito sulla flessibilità irrompe Mario Draghi. E il parere del governatore della Bce è quanto mai pesante: le riforme strutturali, dice l’ex capo di Bankitalia, diventano una priorità al pari del risanamento dei bilanci. Allo stesso tempo, però, «è fondamentale applicare le regole» di disciplina di bilancio con il Fiscal compact. Insomma, da Francoforte arriva un doppio messaggio: da un lato serve una governance delle riforme per rilanciare la crescita che abbia pari dignità rispetto alle regole stabilite e adottate per controllare il debito pubblico, dall’altro non si può deviare dalla strada del consolidamento dei conti per mettere al riparo l’Eurozona dai rischi di debiti incontrollabili. Altrimenti  ci si darebbe «la zappa sui piedi». Draghi si spinge al punto di suggerire di affidare all’Unione europea «una qualche forma di governance comune delle riforme strutturali», un’idea «che avrebbe un forte motivo d’essere». E che è giustificata, secondo il presidente della Bce intervenuto a una commemorazione di Tommaso Padoa Schioppa, non solo dalla necessità di ridurre gli squilibri fra i Paesi dell’Eurozona, ma anche dalla difficoltà dei singoli Stati membri nel realizzare misure politicamente costose: «L’esperienza storica, per esempio quella del Fmi – spiega Draghi – fornisce argomentazioni convincenti che la disciplina imposta da autorità sovranazionali può facilitare il dibattito sulle riforme a livello nazionale». Sembra un assist a Matteo Renzi. Perché uno dei nodi sinora emersi è che i Paesi del Nord vogliono offrire benefici a chi fa le riforme, ma vogliono vederle (le riforme) già belle e chiuse, non solo annunciate. Una governance europea potrebbe misurare gli stati d’avanzamento e premiare chi sta facendo passi in avanti, istituendo una sorta di flessibilità progressiva. Nel frattempo, il presidente in pectore della commissione Ue, Jean Claude Juncker, continua a muoversi con un certo 'trasformismo' sui temi della flessibilità. Se ieri ai socialisti che devono votargli la fiducia ha aperto ampi spiragli, ieri all’opposizione di sinistra ha risposto seccamente: «Sono allergico al debito pubblico, se pensa che il modo migliore di combattere il deficit e il debito sia aumentarli si sbaglia. L’austerità è incontestabile». Ciò su cui si propone di lavorare Juncker è un’applicazione con «buon senso» del Patto di stabilità: «Ci sarà una lista di note applicative ragionevoli ». In particolare, spiega Juncker, a novembre sarà aggiornata in base al nuovo ciclo economico europeo la cosiddetta 'clausola per gli investimenti', che permette di scorporare dal deficit parte della spesa per infrastrutture.
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