lunedì 18 ottobre 2010
La collaboratrice di giustizia calabrese Lea Garofalo, scomparsa un anno fa a Milano, sarebbe stata uccisa e sciolta nell'acido dall'ex compagno, Carlo Cosco, che voleva punirla per le sue rivelazioni sulla mafia di Petilia Policastro. Ne è convinta la Procura antimafia del capoluogo lombardo, che nella notte ha notificato sei ordinanze di custodia cautelare in carcere a Cosco e ai suoi complici.
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Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia scomparsa a Milano circa un anno fa, è stata uccisa e sciolta nell'acido in un terreno a San Fruttuoso, vicino a Monza. È quanto emerge dall'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip milanese Giuseppe Gennari e notificata in queste ore dai carabinieri del nucleo investigativo di Milano a sei persone. Nel provvedimento del giudice si ritiene che l'omicidio della donna sia stato una vera e propria "esecuzione". Le ordinanze di custodia cautelare sono state chieste dal procuratore aggiunto di Milano Alberto Nobili e dai pm Marcello Tatangelo (dda) e Letizia Mannella. Gli arresti sono stati eseguiti tra Lombardia, Calabria e Molise e sono in corso perquisizioni. In base agli accertamenti e alle dichiarazioni di un paio di pentiti, Lea Garofalo, 35 anni, alla quale nel febbraio del 2006 era stato revocato il programma di protezione, tra il 24 e il 25 novembre scorsi, prima di essere assassinata e sciolta nell'acido in un terreno nell'hinterland milanese, sarebbe stata anche interrogata dai suoi esecutori. Dei sei provvedimenti, due sono stati notificati in cella a Carlo Cosco, ex convivente della donna - dalla relazione è nata una figlia ora maggiorenne - e a Massimo Sabatino. I due erano già stati arrestati a febbraio per un precedente tentativo di sequestro, avvenuto a Campobasso nel maggio dell'anno scorso, con lo scopo di uccidere la Garofalo per vendicarsi delle dichiarazioni da lei rese agli inquirenti, a partire dal 2002, contro alcuni affiliati alle cosche della 'ndrangheta di Petilia Policastro (Crotone). Gli altri quattro destinatari del provvedimento del giudice Gennari sono i fratelli di Carlo Cosco, Giuseppe detto Smith (gli e' stato contestato anche lo spaccio di stupefacenti) e Vito detto Sergio, e altre due persone, una delle quali accusata solo di distruzione di cadavere. Secondo l'indagine, Carlo Cosco ha organizzato l'agguato teso a Lea Garofalo proprio mentre questa si trovava a Milano con la figlia. Proprio con il pretesto di mantenere i rapporti con la ragazza, legatissima alla madre, Cosco ha attirato la sua ex nel capoluogo lombardo. Almeno quattro giorni prima del rapimento, ha predisposto un piano, contattando i complici, assicurandosi sia il furgone dove é stata caricata a forza, sia la pistola per ammazzarla "con un colpo", sia il magazzino o il deposito dove interrogarla, e infine l'appezzamento dove si ritiene sia stata sciolta nell'acido. La distruzione del cadavere, per inquirenti e investigatori, ha avuto lo scopo di "simulare la scomparsa volontaria" della collaboratrice e assicurare l'impunità degli autori materiali dell'esecuzione. Autori che inquirenti e investigatori hanno identificato in Vito e Giuseppe Cosco, ai quali Lea Garofalo è stata consegnata dagli altri due complici destinatari dell'ordinanza e indicati come i rapitori. L'accusa di omicidio è stata ipotizzata con le aggravanti della premeditazione. A dare l'allarme per prima per la sparizione della donna era stata proprio la figlia della Garofalo e di Cosco.
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