venerdì 6 novembre 2015
L'Inps: più flessibilità con il taglio di quelle d'oro. Stop di Poletti: irrealizzabile.
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Un assegno anti-povertà da 500 ero al mese per gli ultra 55enni che hanno perso il lavoro e non lo ritrovano più. La possibilità di un’uscita anticipata verso la pensione per i lavoratori arrivati non più di tre anni della soglia di vecchiaia, con una penalizzazione dell’assegno fino al 10%. Sono le due proposte principali messe nero su bianco dall’Inps di Tito Boeri, che ieri hanno aperto un fronte con il governo, in particolare con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, e provocato malumori diffusi nel mondo politico, dove l’attivismo di un tecnico come il presidente Inps è sempre più mal sopportato. Nel luglio scorso Boeri aveva presentato le sue proposte riservatamente al governo, senza convincerlo a farle proprie. Ieri le ha pubblicate sul sito dell’istituto. Poco dopo Palazzo Chigi ha lasciato filtrare nel pomeriggio che la pubblicazione era stata concordata, non ostile quindi. Ma il premier Matteo Renzi ha spiegato che la proposta ha sì un «valore di equità» ma si è preferito soprassedere perché sarebbe «un errore tagliare le pensioni, dobbiamo dare fiducia agli italiani». Va ricordato che il governo ha accantonato ma non rinunciato a introdurre quella flessibilità in uscita promessa tempo fa dal premier. Il problema di fondo sono, come al solito, le fonti di finanziamento. Lo studio Inps prevede che arrivino in gran parte dall’interno del sistema previdenzial-assistenziale. Si punta infatti su una riduzione delle prestazioni di assistenza per le 230mila famiglie più benestanti, unita a un taglio, progressivo al salire dell’assegno, per quei 250mila pensionati che godono di un trattamento superiore alle 7 volte il minimo (3.500 euro circa) e non giustificato dai contributi versati. Nel mirino anche 4.000 politici percettori di vitalizi: per loro arriverebbe una stangata. Un "pacchetto" dove quindi c’è chi ci guadagna ma anche chi ci perde parecchio e per questo politicamente molto spinoso. Come ha evidenziato la replica arrivata in serata dal Lavoro. Secondo il ministero la proposta è «utile al dibattito» ma «al momento non realizzabile» perché «mette le mani nel portafoglio di milioni di pensionati» e ha «costi sociali non indifferenti e non equi». Nella sostanza una secca bocciatura. Che ripropone un dualismo Poletti-Boeri e in prospettiva fa intravedere una impasse all’interno del governo: con il ministro Padoan che guarda ai conti e dice no a proposte senza copertura mentre Palazzo Chigi e il Lavoro guardano più all’impatto politico e sociale. Ma vediamo più in dettaglio. Parte della proposta è dedicata al reddito minimo per le famiglie nelle quali ci sia almeno un componente ultra 55enne disoccupato. Lo studio spiega infatti che è questa la fascia di età nella quale la crisi economica ha colpito di più e il sostegno permetterebbe di dimezzare la povertà. Lo stanziamento ipotizzato è di 500 euro al mese per un singolo mentre per i nuclei di più persone sarebbe riparametrato in base a numero e reddito. La possibilità di pensionamento anticipato scatterebbe invece a 63 anni e 7 mesi con una riduzione dell’assegno che arriverebbe al 10% circa per chi se ne va tre anni prima, del 3% un anno prima. L’operazione comporterebbe oneri di circa 1,5 miliardi nel 2016 per arrivare a 4 miliardi negli anni successivi. Tenendo conto di alcuni risparmi possibili l’impatto potrebbbe scendere, soprattutto all’inizio. Mentre nel lungo periodo il sistema resterebbe in equilibrio. Chi sarebbe a pagare il conto? I pensionati con oltre i 3.500 euro avrebbero un congelamento dell’assegno, dai 5mila in su scatterebbe il taglio, con il ricalcolo contributivo. Previsto poi il riordino degli istituti di assistenza, con lo stop a pensioni sociali e integrazioni al minimo per gli over 65 che fanno parte di famiglie con un reddito superiore ai 55mila euro.
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