mercoledì 25 luglio 2018
Continua il viaggio di Avvenire nell'orrore del caporalato nel Reggino, a San Ferdinando. La schiavitù, il nuovo “business” dei pastori, la beffa dell’indennità di disoccupazione
Pecore e cipolle, le vite appese nella Piana di Gioia Tauro
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Osman si alza tutti i giorni alle 2 di notte. Esce dalla sua tenda, nella baraccopoli di San Ferdinando. Inforca la bicicletta e pedala, pedala, pedala per 60 chilometri fino alle campagne tra Vibo Valentia e Lamezia Terme. Va a raccogliere cipolle, le famose e dolci cipolle di Tropea. Ci va in bici per risparmiare i 4 euro che i caporali pretendono ogni giorno per trasportare i migranti da San Ferdinando ai campi. Già, perché ancora si lavora in questa zona di Calabria – meno che durante la stagione autunnale/invernale, quando a raccogliere arance, clementine, kiwi e olive arrivano più di 4mila braccianti immigrati, costretti a vivere nell’enorme baraccopoli, nella nuova ma piccola tendopoli, in capannoni abbandonati. Ora gran parte di loro sono in Basilicata e Puglia a raccogliere pomodori e uva, o a sfiancarsi nelle serre siciliane. Ma un migliaio sono ancora qui. E sempre vittime di caporali e imprenditori sfruttatori. Ancor di più in questo periodo quando il lavoro è lontano.

Così alle 4 del mattino passano i pullmini e i furgoni dei caporali. Una scena che abbiamo visto tante volte. E che osserviamo da lontano. «Sono sicuramente d’accordo con gli imprenditori agricoli, sanno dove portarli. I caporali nella stragrande quantità sono connazionali dei braccianti africani, così ci dicono nelle interviste che facciamo come “sindacato di strada”», ci spiega Celeste Logiacco, segretario generale della Flai Cgil della Piana di Gioia Tauro. Intanto Osman pedala da quasi due ore (in tutto impiega 2 ore e mezza) e per farsi forza e non addormentarsi manda messaggi col cellulare al parroco di Rosarno, don Roberto Meduri, che da anni si occupa dei braccianti africani. Cosi sei giorni su sette. E dopo la pedalata, il lavoro sotto il sole. Tutto a mano, con una zappetta, tra le lunghissime file di cipolle. Sono più di cento gli “abitanti” di tendopoli e baraccopoli che ogni giorno vengono qui a lavorare. Ma solo Osman in bici. Un mezzo molto comune tra i migranti, ma per piccole distanze, quando il lavoro è nella Piana. Quello di Osman è sicuramente un record.

Tutti dicono di avere un contratto, 45 euro al giorno. Bene. Ma poi scopriamo che 10-15 euro li devono togliere per pagarsi i contributi (non è corretto), altri quattro li danno al caporale, e così gli rimangono in tasca i soliti 25 euro al giorno. Come d’inverno per gli agrumi. Inoltre lavorano anche dieci ore al giorno. Anche Osman, che poi riprende la sua bicicletta e si rifà 60 chilometri fino a “casa”, ancora 2 ore e mezza e forse più. Stanchissimo, ma tiene duro per risparmiare quei 4 euro.

E mentre Osman pedala giriamo tra i paesi della Piana di Gioia Tauro e scopriamo una novità. Ragazzi africani che conducono greggi di pecore. Mai visto. Proviamo a parlare con loro, aiutati dagli operatori della Flai che fanno “sindacato di strada”. Dicono che si trovano bene, ma poi emerge che li pagano anche meno che per la raccolta sui campi, perfino 15 euro al giorno, con la scusa che gli danno una casa che in realtà è un casolare fatiscente in campagna, poco più di una baracca, senza acqua né luce. «È una novità degli ultimi mesi – ci conferma Celeste Logiacco –. Finora non avevamo mai incontrato ragazzi che si improvvisavano pastori. Dobbiamo ancora capire come avviene l’ingaggio, se ci sono caporali o no». Sicuramente sfruttati ma in questa stagione il lavoro è davvero poco, malpagato e duro.

Oggi nella Piana ci sono 38 gradi. Eppure c’è chi lavora. E sono lavori davvero umili e pesanti. L’altra attività in questa stagione è infatti la pulitura dei campi e soprattutto delle serre. Tutto a mano. In ambienti, le serre, intrisi di pesticidi. Pagati ancora meno e totalmente senza contratto. Ovviamente solo giovani africani. Molti sono anche rifugiati. Tutt’altro che privilegiati. Non solo sfruttati da caporali e imprenditori disonesti, ma anche ostacolati dalle istituzioni. Infatti raccogliamo una grave denuncia. L’Inps di Palmi non riconosce l’indennità di disoccupazione a chi ha il permesso di soggiorno per motivi umanitari, proprio quello contestato dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini che vorrebbe eliminarlo.

Fatto sta che mentre nel resto d’Italia l’indennità viene giustamente pagata, per i braccianti di San Ferdinando è stato detto di no. Una situazione confermata dal sindacato che già si è attivato: «Stiamo intervenendo su questa situazione – ci spiega Celeste Logiacco –. Abbiamo contattato l’Inps nazionale perché non possono respingere la prestazione solo perché sono titolari di un permesso di soggiorno piuttosto di un altro. E non si tratta solo dei permessi per motivi umanitari, ma anche di quelli per ricongiungimento familiare». Davvero non finiscono mai i problemi per queste persone che, lo ricordiamo per l’ennesima volta, sono lavoratori.

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