venerdì 10 maggio 2013
Domani l'assemblea nazionale. La task force incaricata di trovare un nome capace di unire non riesce a superare le divergenze tra le correnti. Dalemiani e “Giovani turchi” osteggiano la soluzione del capogruppo, che per Renzi è in grado di rappresentare la novità necessaria. Il giovane capogruppo a Montecitorio favorito per la segreteria.
INTERVISTA Vacca: «Il partito reggerà, ma ora congresso vero» (Giovanni Grasso)
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Volano le ore e il Pd non riesce a uscire dal guado. Il nome condiviso necessario a evitare la conta domani, all’assemblea nazionale, non si trova. Roberto Speranza, allo stato il più accreditato a succedere a Pier Luigi Bersani, non riscuote consensi unanimi, specie tra i dalemiani e tra una parte dei "giovani turchi". Il gruppo di lavoro incaricato dal coordinamento del partito di trovare una soluzione in grado di tenere unite le correnti, per ora riesce a mettere a punto soltanto la "road map" da seguire fino al congresso. E allora le assise alla Nuova Fiera di Roma – a cui parteciperà anche il premier Enrico Letta – potrebbero finire con misurare la forza delle anime democratiche sul nome del giovane capogruppo alla Camera, su cui confluiscono anche i renziani.«Abbiamo lavorato e stiamo lavorando per far sì che l’Assemblea sia un punto di ripartenza del Pd in questo momento così difficile per il Paese», scrivono i vicepresidenti dell’Assemblea nazionale Marina Sereni e Ivan Scalfarotto, i capigruppo della Camera dei deputati e del Senato Roberto Speranza e Luigi Zanda, il capodelegazione democratico al Parlamento europeo David Sassoli e il coordinatore dei segretari regionali Enzo Amendola. «L’obiettivo è che l’Assemblea elegga un segretario con la più ampia condivisione, che porti il nostro partito al congresso nei termini previsti dallo Statuto e che ci guidi rilanciando l’iniziativa del Partito democratico in questa fase di grandi e nuove responsabilità».La scelta resta dunque tra un nome nuovo, come potrebbe essere appunto quello del neo-eletto Speranza, o una personalità con esperienza, capace di far fronte al momento delicato. La soluzione del presidente dei deputati pd è caldeggiata dall’asse Bersani-Franceschini. Ma nella stessa ottica prende corpo anche il nome di Enzo Amendola, coordinatore dei segretari regionali, anche lui nella task force che sta lavorando al rompicapo, che ieri ha avuto un colloquio con il ministro per i Rapporti con il Parlamento.Non viene meno, comunque, neppure l’ipotesi di ricorrere subito a un nome di esperienza, come potrebbe essere quello di Anna Finocchiaro (che però non piace al vecchio vertice pd), o anche Piero Fassino, Vannino Chiti o Sergio Chiamparino. Resta in pista Gianni Cuperlo, ma per un’altra gara, vale a dire quella che si avrà in vista del congresso. Per ora, anche Matteo Renzi fa un passo indietro, sebbene molti dei suoi considerino arrivato il momento per una sua discesa in campo nel partito. Il sindaco di Firenze, però, non sembra affatto interessato a guidare il Pd, tanto che ormai pare scontata la modifica dello Statuto che tiene unite attualmente le figure del leader democratico e del candidato premier. Anzi, c’è chi lascerebbe direttamente a Letta la poltrona di Largo del Nazareno.Si tratta insomma di scegliere se dare o no una reggenza forte al partito, considerando che – malgrado le minacce e le richieste – anticipare il congresso previsto in autunno appare davvero complicato e complesso, mentre l’esecutivo, fragile nelle sue premesse, ha bisogno di essere sostenuto da un partito forte. Le ore passano, ma non emerge niente dal pantano. Così il gruppo ristretto mette a punto la scaletta dell’assemblea che Bersani non intende aprire con una sua relazione. Il segretario uscente, piuttosto, interverrà tra gli iscritti. Perciò dovrebbe toccare al capogruppo al Senato Zanda dare il via alle danze.Per presentare le candidature, basteranno 75 firme (sui circa settecento partecipanti attesi all’assemblea di domani). Quando si dimise Walter Veltroni, la candidatura di Franceschini venne accompagnata da una raccolta di firme e lo stesso fece Arturo Parisi che si candidò contro l’attuale ministro dei Rapporti con il Parlamento. La conta finì con 1.047 preferenze per Franceschini contro i 92 voti raccolti da Parisi. Ma questa volta lo scarto tra gli eventuali concorrenti potrebbe essere molto minore.
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