venerdì 12 aprile 2013
​Bersani e D'Alema negano il rischio-spaccatura nel partito. Il lìder maximo da Renzi per ricucire: «Un errore escluderlo» (Roberta D'Angelo)
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L'attesa protratta per l’elezione del nuovo capo dello Stato lascia spazio a polemiche e contrasti, che con il tempo diventano lacerazioni. Il Pd – già a stento unito nella Direzione post-elezioni dietro al mandato a Bersani – va via via sgretolandosi, e Matteo Renzi, ormai uscito allo scoperto in un crescendo di accuse al segretario, si porta dietro le diverse correnti, mentre ieri lo stesso Massimo D’Alema (solo qualche mese fa considerato il leader dei rottamandi dal sindaco di Firenze) ha incontrato Renzi per un’ora a Palazzo Vecchio. Nel Pd in fermento, poi, arriva il nuovo iscritto Fabrizio Barca, vale a dire il ministro dato per possibile successore di Bersani alla segreteria, in un ipotetico scenario che vede Renzi a Palazzo Chigi.Insomma, il segretario sembra sempre più solo nel suo tentativo di dare al Paese un «governo di cambiamento». Ma il rischio non appare quella «scissione» evocata da Dario Franceschini, da qualche giorno ufficialmente in linea con il sindaco di Firenze, quanto piuttosto l’abbandono della strada su cui il leader democratico potrebbe trovarsi senza più seguito.«Io non accetterò mai l’idea che siccome qualcuno non mi vuole, me ne vado io», spiega Renzi in una serata di grande impegno televisivo. «In questo Paese ci sono già troppi partiti. Per me ce ne dovrebbero essere solo due: centrodestra e centrosinistra». La battaglia, dunque, continua. Ma a Largo del Nazareno, dove oltre al leader di Areadem, anche Walter Veltroni si era riposizionato. Ieri, poi, è stata la volta di Rosy Bindi, uscita con critiche pesanti a Bersani, che starebbe mettendo a rischio il partito. Soprattutto, però, Renzi si va impossessando della scena, bocciando in maniera dirompente il tentativo del segretario, convinto, almeno a parole, di potersi fidare del suo sfidante alle primarie. Il sindaco, però, è ancora insofferente per lo stop arrivato alla sua candidatura a "grande elettore" per il Quirinale, stigmatizzato dallo stesso D’Alema. E, se pure non accusi direttamente il partito nazionale, non perde occasione per togliersi i sassolini dalla scarpa. Così, riguardo al possibile governo di minoranza, dice di essere «molto ottimista che Bersani lo faccia, ma nei 47 giorni precedenti pare che non ci sia riuscito...», ironizza. «Non mi interessa il destino personale mio, di Bersani o Berlusconi. Mi interessa che il Paese abbia un governo», insiste Renzi. Il messaggio a Bersani resta quindi lo stesso: «Il Pd prima smette di parlare di Renzi e pensa agli italiani, meglio è. Dico a Bersani: smetti di preoccuparti di me e anche di te e pensa agli italiani. Chi ha responsabilità oggi ha il dovere morale di affrontare la crisi». Nello stesso quadro, perciò, continua Renzi, «credo sia imbarazzante, quasi ridicolo che la politica ruoti intorno al mio incontro con D’Alema». Anche perché, ricorda, «chi fa politica in modo serio dice le cose in faccia, io le ho dette ai tempi a D’Alema e lui le ha dette a me. Non mi piace chi fa il doppio gioco, i giochini non si fanno». E proprio per lo stesso motivo il sindaco ripete di non essere disposto ad andare a elezioni senza aver rifatto le primarie, questa volta vincendole. Però «questi a votare non ci vogliono andare – secondo Renzi – . Magari è anche un bene e hanno ragione loro». La guerra è aperta e Renzi non sembra voler archiviare nessuna delle polemiche nei suoi confronti. Tanto meno quella con il direttore dell’Unità Claudio Sardo che gli aveva dato del «fascistoide»: «Per me si è trattato di un inaudito atto di violenza verbale». Polemiche a parte, la strada bersaniana si fa sempre più in salita. E se anche D’Alema esclude scissioni, la solitudine pesa al segretario. A questo punto – come profetizza Beppe Fioroni – «l’elezione del nuovo presidente della Repubblica può essere l’inizio o la fine del Pd».
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