mercoledì 28 marzo 2012
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​La prima reazione, finendo su Twitter, sarebbe di chiudere il pc e chiamare l’ambulanza. Giornalisti (cani da guardia del Palazzo, una volta) che "cinguettano" col politico-amico saltellando dal vertice di Palazzo Chigi al derby di San Siro, giornalisti che duettano col vicino di scrivania che potrebbero consultare a voce. Nel pieno del caso-Lusi - che, coi milioni, sottrae ai partiti anche quel po’ di credibilità rimasta - la politica sonda nuove strade. Il 40 per cento degli italiani è orientato a disertare il voto, due elettori su tre condividono poco persino le opinioni dei loro leader di riferimento. Questi, allora, provano a rendersi accessibili e simpatici tramite la Rete, sin qui organo ufficiale dell’Antipolitica. «Per ascoltare le conclusioni di Monti a Cernobbio perderò Milan-Roma», annuncia il politico on line. «Sarai in tribuna Monti Mario...», replica il giornalista-battutista. Potrebbero magari raccontarsela fra loro, ma vuoi mettere l’ebbrezza di provare a intercettare i 180mila followers di Nichi Vendola o i 100mila e passa di Renzi, Di Pietro o De Magistris? Eh sì, perché la classifica dei primatisti di Twitter, il social network più trendy del Palazzo, sembra quella delle primarie del centrosinistra. Incalzati dal fenomeno Beppe Grillo (764mila fan su Facebook, 475mila follower su Twitter) ad attrezzarsi per primi sono proprio loro, quelli che più hanno dato grattacapo ai vertici del Pd.Ma è stato quel famoso post da Palazzo Chigi alle 20.33 di giovedì 15 marzo ("Siamo tutti qui") con foto della riunione di "Abc" da Monti, a sancire la definitiva consacrazione nel Palazzo dei social network. Opera di Pier Ferdinando Casini, appassionatosi anche lui al giocattolo ed entrato prepotentemente nella top ten dei più seguiti di Twitter, scavalcando Brunetta, Pisapia e Franceschini, gente che tweettava quando ancora il leader dell’Udc era fermo alla mail. Nega ogni addebito Roberto Rao, da sempre suo uomo-comunicazione. «L’avrò forse contagiato, ma ora fa da solo e si vede. Perché - spiega - il segreto è essere veri, la gente lo coglie, infatti Pier cresce costantemente nei numeri, e senza i trucchi di chi fa "lavanderia" coi contatti degli altri».La caccia a fan e follower non contagia invece Umberto Bossi, incurante dei gruppi irridenti, su Fb, che gli preferiscono Garibaldi o persino un suino, con rispettivamente 5.232 e 2.132 adesioni, ben più dei 1.127 fan della pagina del Senatur che peraltro ha l’aria di essere "farlocca". La Lega (con l’eccezione di Matteo Salvini, che conta 2.300 follower) resta l’ultima dei Mohicani a snobbare i social network, non si sa per quanto. Mentre ne fa, al contrario, un cavallo di battaglia l’Italia dei valori, con una struttura dedicata "h24" e frequenti puntate in prima persona di Antonio Di Pietro in chat o sul blog. Per non dire di Vendola, che risponde in proprio fin dove arriva, ma si avvale anche di uno staff composto fino a 30 volontari.Con Casini, ora, dopo gli outsider, è arrivato il momento dei partiti e dei leader. Il Pd già due anni fa incontrò gli addetti alla comunicazione di Obama. «In Italia siamo indietro - sottolinea Roberta Maggio responsabile web-comunicazione  - si bada alla quantità, ma non alla qualità, alla grammatica dei new media». I big però ora mostrano più consapevolezza, Silvio Berlusconi annuncia lo sbarco in massa sulla Rete. Non ha un account a suo nome su Twitter, ma il suo sito curato dal deputato Antonio Palmieri è promosso dagli esperti per funzionalità e accessibilità. Tocca però ad Angelino Alfano ingaggiare la sfida, a un anno dalla naturale scadenza di legislatura. Su suo input è partita la Political Digital Academy del Pdl, una scuola per formare parlamentari e collaboratori al corretto utilizzo della Rete e dei social network. Il segretario del Pdl, di suo, vanta un buon numero di fan su Facebook, «ma il dato che conta è un altro», spiega Davide Tedesco, alla guida da qualche mese della struttura new media del Pdl. «Contano gli "attivi nella pagina", cioè quelli che interagiscono». E su questo Alfano è oltre i 10mila, dietro solo a Di Pietro e davanti a Vendola e Berlusconi. Fu vera gloria? C’è chi dice di no, che la politica è un’altra cosa. Pino Pisicchio, di Api, "politologo" con un certo seguito nel Palazzo, vede una sindrome che ha preso i politici italiani: «Arrivati buon ultimi, fanno overdose di tecnologia scivolando verso una sorta di "onanismo da twitter", esplosioni di giovanilismo telematico da parte di chi dovrebbe dedicare il suo prezioso tempo agli affari di stato, più che giocare coi tablet».Un dato colpisce, però: i più attivi e presenti nei social network sono anche, per lo più, i titolari del blog più frequentati (da Civati a Di Pietro, da Scalfarotto a Brunetta, da Renzi a Casini). Dunque, se un tweet può solo creare o fidelizzare un contatto, ci sono altri luoghi, nella Rete, per una vera elaborazione. Di sicuro la politica del futuro, della Rete non potrà più fare meno. Visto che - oltre tutto - costa anche molto meno.
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