mercoledì 21 maggio 2014
Nel mirino la doppia sede: i costi viaggiano forte fra Strasburgo e Bruxelles. Per 317 giorni il palazzo di vetro in Alsazia è un deserto. Ma costa 12 milioni solo per la manutenzione Giuseppe Matarazzo
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Sono le nove del mattino di un giorno qualunque. C’è un sole accecante che esalta la bellez­za di vetro e d’acciaio della sede del Parlamento europeo, dedicato a Loui­se Weiss, paladina alsaziana della de­mocrazia e degli ideali comunitari. È la 'casa' e soprattutto il 'cuore' del­l’Europa. Quello splendidamente rap­presentato dall’artista Ludmila Tche­rina nella scultura posta all’ingresso del palazzo inaugurato nel dicembre del 1999 dagli allora presidenti della repubblica francese, Jacques Chìrac, e del Parlamento europeo, Nicole Fon­taine.  In un giorno qualunque, la se­de dei parlamentari che 400 milioni di cittadini europei di 28 Paesi voteran­no nel corso di questa settimana, è un deserto. Nel piazzale rimbombano i saltelli di un bambino che gioca, sot­to gli occhi divertiti di papà, fra le aste delle bandiere che sventolano con fie­rezza. Qui i 766 Mep (dalla prossima le­gislatura 751) vengono soltanto quat­tro giorni al mese, per le sedute ple­narie. Gli altri 26 stanno (più o meno) a Bruxelles. Perché nella capitale bel­ga si lavora nelle commissioni, si pre­parano i documenti, ci si confronta. Poi per votare, ecco, si chiudono i trol­ley e si va a Strasburgo (mentre la ter­za sede, quella di Lussemburgo è solo amministrativa). Una 'navette' che costa la bellezza (o la bruttezza) di 220 milioni all’anno. Più di un miliardo a legislatura. Il 10% del bilancio annua­le del Pe. Senza considerare le spese per tutto il contorno, l’indotto, dagli osservatori alla stampa, con un altro significativo 'incendio' di risorse. Il 'circo itinerante' riguarda persone e cose: perché a trasferirsi a Strasburgo per quattro giorni è l’intera burocra­zia di Bruxelles. Enormi tir fanno la spola per 400 chilometri (con un dan­no ambientale di 11-19mila tonnella­te di Co2 prodotte) trasportando pe­santi valigioni con i faldoni necessari ai 5mila funzionari, ai 766 deputati e ai loro assistenti che sempre per quat­tro giorni allestiscono i propri uffici nella torre più alta. Uno a testa, con divano-letto, scrivania, bagno e tutto l’occorrente per lavorare. Un retaggio della 'vecchia' Europa, decisamente antistorico. La cittadina alsaziana, simbolo della riconciliazio­ne franco-tedesca, venne scelta nel 1951 come sede dell’Assemblea Par­lamentare della Ceca. E da allora ha resistito a tutte le epoche, fino all’al­largamento a 28 stati della nuova Ue. Con il paradosso che il 40% dei depu­tati per raggiungere Strasburgo deve anche fare due scali aerei... E sebbe­ne la 'navette' non piaccia alla mag­gioranza degli stessi deputati, e si ri­petano le iniziative e i segnali trasver­sali per eliminare la doppia sede, ad­dirittura con una risoluzione (non vin­colante), la questione non è di facile soluzione a causa del veto francese (anche questo forse antistorico). Il pre­sidente francese, François Hollande, per la verità, ha provato lo scorso feb­braio a fare un passo in avanti, apren­do alla possibilità che la Strasburgo possa diventare la sede dell’«Univer­sità europea». Ma poi non è arrivata la proposta ufficiale in Consiglio, proba­bilmente, per equilibri interni, e tutto è rimasto com’era. Così in un giorno qualunque, senza deputati, funzionari e collaboratori, senza giornalisti , osservatori, asso­ciazioni e lobbisti, a varcare le soglie del piazzale sono soltanto mezzi di ser­vizio o di ditte fornitrici. Ci sono in­terventi di manutenzione da fare, dal prato ai piccoli, continui lavori che u­na struttura di questa portata com­porta. Poche le luci accese negli uffici, mentre un gruppo di donne timbra dopo il turno mattutino delle pulizie. Chiusi gli accessi stampa, vietate le vi­site personali, il Parlamento vuoto può essere visitato solo da gruppi organiz­zati, prenotando con due-tre mesi di anticipo. In questo periodo, arrivano tante scolaresche italiane per le gite d’istruzione. Ne incontriamo diverse fra qui e il centro della deliziosa citta­dina patrimonio dell’umanità Unesco. Una terza media di Mantova, un altro gruppo da Rosolina (Rovigo). Proprio davanti al Parlamento troviamo una classe che arriva dalla provincia di Brindisi, l’Europa dal tacco d’Italia sembra lontana. Ma proprio per que­sto è un 'mito'. Hanno dovuto fare u­na traversata di millecinquecento chi­lometri per essere nel cuore dell’Ue. «Ragazzi, non siete emozionati?», chie­de la professoressa. Parte un coro di «Siii». «Potremo dire di esserci stati!», dice raggiante il più spigliato. C’è gran­de attesa. C’è tutto l’entusiasmo dei ragazzi che in questa Europa credono. E poco importa se il palazzo è vuoto. Sanno che non ci sono attività. E non si chiedono dove sono i 766 deputati e i loro assistenti, e i funzionari, e i di­pendenti, e i giornalisti. Semplice­mente, «non c’è la plenaria». In quel caso, alle 9 del mattino, c’è un flusso continuo di funzionari, operatori, di­pendenti, funzionari, giornalisti. I tram sono affollati e una coda di taxi e di transfert è pronta ad andare avanti e indietro per Strasburgo e tutto l’hin­terland, in hotel ovviamente pieni con prezzi «lievitati» anche del 150%. Ma questo i ragazzi che credono nell’Eu­ropa degli ideali, non lo sanno. A loro lasciamo intatta la genuinità del so­gno europeo sui pilastri che oltre ses­sant’anni fa hanno posto i padri fon­datori. Un sogno a volte tradito, nelle pieghe della burocrazia e delle politi­che economiche e monetarie degli ul­timi decenni. Di logiche troppo stata­li e poco solidali. Di un’Europa a più velocità, lontana dallo spirito dei Po­poli che anima un’altra istituzione che abita sempre qui a Strasburgo, il Con­siglio d’Europa e la Corte europea dei diritti dell’Uomo. Istituzioni che sì, fanno della città alsaziana la capitale dell’Europa. Quella vera. Forse la nuo­va legislatura potrebbe partire da que­sto. Davanti alla sede della Regione del­l­’Alsazia,  in questa città a misura di fa­miglia e di giovani, campeggia uno slo­gan del grande Antoine de Saint-Exupéry:«Non si tratta di prevedere il futuro. Ma di renderlo possibile». E for­se avere a Strasburgo la sede di un’u­niversità europea, darebbe alla perla dell’Alsazia un lustro e un ruolo anco­ra più forte. Il centro delle idee, dei di­ritti e del sapere. Per rendere possibi­le un avvenire migliore ai suoi figli, al­le nuove generazioni. Ai ragazzi italia­ni in gita, come al piccolo che gioca sul piazzale vuoto. E al piccolo 'Milàn', algerino di tre mesi che con papà e mamma (con il velo), ci siede accanto sul treno che ci riporta via da Strasburgo. L’Europa del futuro sarà anche la sua.

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