martedì 7 marzo 2017
Dossier del Senato per i 70 anni della Costituzione. L'Italia ancora lontana dalla media europea per colmare il gap di genere
Tina Anselmi, prima donna ministro in Italia

Tina Anselmi, prima donna ministro in Italia

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L’anniversario importante, quello dei 70 anni dall’approvazione dell’articolo 3 della Costituzione (che sarebbe entrata in vigore a gennaio del 1948), offre al Senato l’occasione per fare il punto sulle leggi approvate in Italia nella storia repubblicana a favore della donna, proprio per dare senso alla mancanza di «distinzione di sesso» prevista nei capisaldi della nostra Carta. Un 8 marzo particolare, dunque, in cui la Camera alta presenta un dossier che – «in assenza, finora, di studi e valutazioni scientifiche sull'impatto delle politiche di genere» – , ripercorre le principali tappe legislative della lunga marcia delle donne verso l'uguaglianza. Lunga e ancora incompleta, stando alle statistiche pubblicate nel Rapporto annuale del Word Economic Forum (WEF) sulla situazione nel 2016 del "gender gap" nel mondo, che mostrano come il nostro Paese si collochi solo al cinquantesimo posto della classifica generale, con un peggioramento di nove posizioni rispetto allo scorso anno. Particolarmente allarmanti sono la collocazione alla 117esima posizione nella classifica parziale relativa alla partecipazione economica e alle opportunità, e quella al 56esimo posto nella parità nel campo dell'istruzione. Dunque molto ancora resta da fare per «rimuovere - come recita l’articolo 3 - gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il completo sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». E «ricordare questa pietra miliare in occasione della Giornata internazionale della donna», viene spiegato dall’Ufficio studi di Palazzo Madama, «ha un particolare significato».



Ecco allora le tappe legislative principali dei «70 anni in cui le donne hanno cambiato il Paese», attraverso le quali si snoda il dossier:

MADRI AL LAVORO - La prima legge della Repubblica a tutela delle donne è del 1950, e si intitola "Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri". Si tratta di una «svolta epocale», come sottolineava a ragione la deputata della Dc Vittoria Titomanlio. Meno trionfale il giudizio della collega del Pci Teresa Noce Longo, che lamentava l’esclusione della tutela delle casalinghe e delle «mogli dei lavoratori». Qui vengono introdotte importanti misure - ancora oggi in larga parte valide - a tutela della maternità delle donne lavoratrici. Tra queste: il divieto di licenziamento dall'inizio della gestazione fino al compimento del primo anno di età del bambino; il divieto di adibire le donne incinte al trasporto e al sollevamento di pesi ed altri lavori pericolosi, faticosi o insalubri; il divieto di adibire al lavoro le donne nei tre mesi precedenti il parto e nelle otto settimane successive salvo possibili estensioni. Tuttavia, sottolinea lo studio, «non solo le casalinghe, ma anche le donne lavoratrici agricole restavano fuori dall'ambito di applicazione della legge», che «non assicurava una piena protezione contro le cosiddette "clausole di nubilato"», che, se nel contratto, «potevano portare le donne, non appena si sposavano, a perdere la propria occupazione». Per queste, si dovette aspettare la legge 9 gennaio 1963, n. 7, che, «oltre a vietare qualsiasi genere di licenziamento in conseguenza del matrimonio, prevedeva alcune misure a sostegno della maternità delle lavoratrici agricole», sottolinea il dossier.

IL VALORE SOCIALE DELLE CASALINGHE - Con la legge 5 marzo 1963, n.389, il Parlamento italiano compiva un altro passo avanti: l'istituzione presso l'Inps della gestione separata "mutualità pensioni" per l'assicurazione volontaria delle pensioni delle casalinghe. «Era una tappa fondamentale verso il riconoscimento della dignità del lavoro domestico e del ruolo della donna di casa», nota il lavoro di Palazzo Madama. Tuttavia «per un pieno riconoscimento del valore sociale del lavoro domestico svolto per la cura del nucleo familiare si dovrà però attendere la legge 8 dicembre 1999, n. 493, con cui veniva istituita l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni domestici. Dal marzo 2001 è così obbligatoria».

MAMME AGRICOLE ARTIGIANE E COMMERCIANTI - Ancora un passo in più nell’estensione della tutela delle lavoratrici madri si ottiene con la legge 30 dicembre 1971, relatrice Tina Anselmi: questa, oltre ad assicurare un'efficace protezione per le gestanti, introduce l'astensione facoltativa dal lavoro per sei mesi, oltre ai tre mesi obbligatori dopo il parto. Inoltre rafforza le misure a tutela delle lavoratrici agricole (alle quali non veniva più corrisposto un assegno una tantum ma l'80 per cento della retribuzione) e alle lavoratrici autonome, come le coltivatrici dirette, le artigiane e le commercianti (alle quali era riconosciuta un'indennità di 50 mila lire), si sottolinea nel dossier.


CONCILIARE VITA E LAVORO, L'ACCUDIMENTO DEI FIGLI DIRITTO/ DOVERE ANCHE DEI PADRI - Si tratta di un nuovo passo avanti. In questo contesto, ripercorre il lavoro del Senato, si inseriscono «prima la legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), che agli articoli 65 e 66 introduceva l'assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli e l'assegno di maternità, e poi la legge 8 marzo 2000, n. 53, recante disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città». In questa direzione anche le successive leggi che introducono il voucher babysitting, il part time ecc, fino alle riforme dei giorni nostri.


DAL DIVIETO DI ACCESSO AL DIVIETO DI DISCRIMINARE - Bisogna attendere il 1956 perché il Parlamento cominci ad abrogare i limiti di accesso per le donne a determinate carriere. È infatti «solo con la legge 27 dicembre 1956, n. 1441 che anche alle donne viene consentito accedere alla magistratura, «sia pure limitatamente alle funzioni di giudici popolari (ordinari o supplenti) e di componenti dei Tribunali dei minorenni». Ma per «avere il pieno diritto ad accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie senza limitazioni di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge, le italiane dovranno attendere la legge 9 febbraio 1963, n.66».

DONNE IN ARMI - Qui «l'inserimento delle donne è stato un processo lento e graduale». La legge 7 dicembre 1959, n. 1083 «ha consentito l'accesso in Polizia», ma con funzioni ben circoscritte, come «la prevenzione e l'accertamento dei reati contro la moralità pubblica e il buon costume, la famiglia, la tutela del lavoro delle donne e dei minori». Ed «è stato necessario attendere oltre un ventennio affinché alle donne poliziotto fosse riconosciuta pari dignità rispetto ai colleghi uomini». L'ultimo muro caduto dopo altri 20 anni è stato il divieto per le donne di svolgere il servizio militare. Siamo già nel1999, con la legge 380, che delega il governo «a disciplinare il reclutamento, lo stato giuridico e l'avanzamento del personale militare femminile nelle Forze armate e nella Guardia di Finanza».


Il GHETTO LAVORATIVO - È ancora la democristiana Tina Anselmi a dare l’impulso per il primo intervento legislativo degno di nota». Si parla della legge n.903 del 1977, che sancisce il «divieto di discriminazione nell'accesso al lavoro, nella formazione professionale, nelle retribuzioni e nell'attribuzione di qualifiche professionali», ricorda il dossier che ripercorre le successive tappe.

QUOTE ROSA - Con il nuovo secolo, nel 2011 si arriva alla legge 120, che deve «imporre l'obbligo delle cosiddette quote rosa nei consigli di amministrazione» visto che «in Italia, la presenza femminile negli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati era ancora così scarsa».

DIMISSIONI IN BIANCO - Una triste prassi, che obbligava soprattuto le donne a firmare le "dimissioni in bianco" prima di prendere servizio. Contro questa pratica intervennero la legge 188 del 2007 e il decreto legislativo 151 del 2015.

IL CORPO, IL SESSO, LA VIOLENZA, LA FAMIGLIA - Il dossier ripercorre le leggi che dal 1947 ad oggi hanno contribuito a modificare il ruolo della donna nella famiglia e nella società, ricordando l'introduzione di norme considerate divisive come quelle relative alla procreazione responsabile, l'addio al delitto d'onore e al matrimonio riparatore (che è solo del 1981). Nascono i consultori familiari e sono gli anni della legge 194, troppo spesso considerata un viatico per l’aborto e non uno strumento per la sua prevenzione. Viene approvato il nuovo diritto di famiglia, con le leggi 898 del 1970 e 151 del 1975. E si passa alla legge sullo stalking del 2009 e alle norme contro il femminicidio del 2013.

POLITICA E PARI OPPORTUNITÀ - «È stato a partire dagli inizi degli anni Novanta che si è diffusa una maggiore consapevolezza», secondo il Senato. In «questo contesto si inserisce la legge 25 marzo 1993, n.81» e si arriva dieci anni dopo alla legge costituzionale numero 1 che modifica l’articolo 51 della Costituzione in materia di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive sancendo espressamente la promozione, con appositi provvedimenti, delle pari opportunità tra donne e uomini. «Ma è stato solo con il nuovo millennio che il legislatore si è impegnato per garantire una maggiore presenza femminile a tutti i livelli», spiega il dossier che cita le più recenti leggi in materia elettorale e preferenza di genere.

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