lunedì 19 agosto 2013
L’ideatore dell’Ulivo: «Il Cav faccia come il comico genovese, leader ma fuori dalle istituzioni: sarebbe la prova che non è entrato in politica solo per difendersi dai giudici. Anche il Pd vive solo di rinvii ed espone oltre ogni prudenza il capo dello Stato».
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«È come se il Paese camminasse in fila indiana dietro Giorgio Napolitano su un crinale di montagna che si fa ogni giorno più stretto. Un passo falso e si precipita in una crisi di governo che distrugge l’obiettivo del rilancio di economia e occupazione che proprio Napolitano ha indicato come la priorità delle priorità». Arturo Parisi cerca le parole giuste per avvertire il capo dello Stato che «se a destra del sentiero c’é il burrone dove il Paese finisce se salta il governo, a sinistra c’è un baratro ancora più profondo». Una nuova pausa. Poi l’inventore dell’Ulivo (ed ex ministro della Difesa ed ex parlamentare per il Pd) si spiega senza attendere la domanda. «C’è il baratro della crisi morale del Paese nel quale ci spingerebbe un incompreso e ingiustificato provvedimento di grazia che da troppe parti si auspica con leggerezza». La frenata di Parisi è decisa. «Capisco il Presidente. La sua determinazione. I suoi inviti a questa maggioranza che con tanta fatica ha lui stesso aggregato. Ma la mia preoccupazione è che attratti dalla soluzione della crisi a breve, quella economica, dimentichiamo gli effetti di tempo lungo che deriverebbero dalla apertura di una crisi morale soprattutto tra i giovani». Sta dicendo che Napolitano è pronto a qualsiasi mossa pur di sottrarre la maggioranza al burrone?Certamente no. La stima e l’affetto che ho maturato verso Napolitano mi impongono di leggere tutte le sue parole e confessargli tutte le mie preoccupazioni. E allora gli dico: "presidente, diffida degli apprezzamenti di maniera, guardati da chi vorrebbe spingerti a manovre azzardate. Insisto: una grazia a Berlusconi farebbe crescere da una parte la rabbia e, ancor peggio, dall’altra il cinismo verso la politica. E farebbe crollare la nostra affidabilità tra i partner stranieri.Grazia no, ma la decadenza va votata?Mi riconosco nelle parole misurate del presidente della giunta per le elezioni del Senato, Dario Stefano. La via è applicare con scrupolo la legge. La domanda che dobbiamo porci è una sola: corrisponde il caso di Berlusconi alla fattispecie prevista dalla legge Severino? Se la risposta è sì, non potrà che derivarne la decadenza; se è no, no.Che direbbe oggi al Cavaliere?Gli direi "rassegnati e impara da Grillo". L’ultima condanna apre per lui una fase nuova che lo chiama a svolgere la sua funzione di leader fuori dalle istituzioni. Anche se pensasse di essere stato condannato ingiustamente non per la sua attività di imprenditore ma a causa delle sue idee e delle sue azioni politiche, ascolti il capo dello Stato: non c’é altro modo di rispettare le sentenze che eseguirle. Questa sarebbe la prova che le accuse di chi sostiene che è entrato in politica solo per difendersi dai giudici sono infondate. E anche il modo per entrare e restare nella storia della Repubblica come fondatore di un forza politica capace di sopravvivergli.Nel centrodestra può essere l’ora di Marina Berlusconi?No, un partito non è cosa che si lascia in eredità. Farlo vorrebbe dire che il Pdl sarebbe ancora la protesi di quell’ azienda che in questi anni ci ha impedito di crescere e che insieme a un imprenditore ha messo in ginocchio l’Italia. Sarò chiaro: la nuova leadership non può essere conferita, va conquistata dentro un confronto reale sul futuro del Paese. Vale per il centrodestra e per il centrosinistra. Parisi sta ripensando alle primarie?È la sola vera strada per strappare il Paese dalle secche. Il centrosinistra deve finalmente prenderle sul serio facendone uno strumento per scegliere un leader e non solo un rito per incoronarlo. Per il proprio futuro ma anche per il futuro del centrodestra. Ci sono cittadini che hanno fame di politica, appassionati alla politica, ma inspiegabilmente tenuti fuori. Guardi al centrosinistra. Le primarie sono state l’unico strumento che in questi anni hanno liberato nuove energie e messo in evidenza potenzialità prima nascoste.Parlare di primarie del Pd fa pensare subito a una sfida Renzi-Letta.   Se fosse pensato come un match tra persone sarebbe riduttivo. Penso invece a una sfida tra due idee di Pd e di politica. Da una parte quelli che con l’argomento della riappacificazione vogliono chiudere la stagione dell’alternativa; dall’altra quanti puntano al più presto ad una alternativa attraverso nuove elezioni con una nuova legge elettorale. Quale linea prevarrà?Solo un congresso partecipato e aperto può decidere di questa scelta, dando vita ad un partito che sceglie e che si candida a guidare un Paese capace di decidere il proprio futuro. A questo punto è inevitabile che Letta scenda in campo in difesa della linea incarnata dal governo che ha accettato di guidare. Per conquistare quel consenso di cui all’inizio non disponeva e per cercare tra gli elettori del Pd quella forza che ancora oggi gli manca.E Renzi?Lui si è proposto ed è comunque oggettivamente il riferimento di una linea alternativa. La interpreti dentro la competizione offrendosi come guida e, prima ancora, come costruttore di un partito aperto che sceglie e che consente ai cittadini di scegliere. Ma ora bisogna accelerare e puntare decisi a un congresso che non sia una ulteriore conta a chi ha più seguaci, ma una occasione per fare quelle scelte finora mancate. È l’ennesima bocciatura a un Pd che fatica a capire e ad apprezzare.Se è vero che il governo vive di continui rinvii, questo è ancor più vero per il partito che in Parlamento è di gran lunga il più rappresentato. Non è ammissibile questo silenzio di un partito, che non riesce a scegliere neppure la data del suo prossimo congresso, e preferisce invece nascondere la sua incapacità dietro Napolitano scaricando su di lui le sue responsabilità ed esponendo così oltre ogni prudenza la presidenza della Repubblica.Anche il governo Letta è bocciato?Di certo è l’ora della verità: a pochi mesi dal giuramento, il rinvio delle sfide a cui aveva legato la vita del governo già si misura in mesi. Penso alla legge elettorale, al cammino delle riforme istituzionali, al finanziamento ai partiti. Letta vuole uscire dallo stallo? Solleciti lui il congresso Pd. E cerchi tra i suoi elettori la forza che gli manca, ridia slancio a un governo provvisorio e precario candidandosi alla guida politica del partito. Senza di questo il suo governo è destinato a galleggiare rinviando ogni volta a domani la realizzazione dei suoi obiettivi, immaginando così di rinviarne la fine. Nemmeno le larghe intese hanno aiutato?La verità è che le "intese" sono "grandi" se nascono e crescono tra gli elettori dei due schieramenti opposti, non perché sottoscritte in solitudine dai capi. Non è certo il caso della grande intesa che sta all’origine del governo Letta. Nato al di fuori di un mandato elettorale, anzi contro un mandato elettorale che impegnava una parte a contrapporsi all’altra, varato senza un confronto pubblico che ne rovesciasse i limiti genetici, e, senza una seria verifica che cercasse previamente all’interno dei partiti alleandi le radici fino allora assenti, il governo Letta resta ancora oggi al massimo un governo di tregua. Ben lontano da quel governo per le riforme del quale il Paese ha un disperato bisogno. E allora se è vero che la caduta del governo Letta comporta rischi economici immediati rilevanti, è altrettanto vero che lasciarlo navigare a vista, comporta rischi ancora maggiori anche se nel tempo lungo. E tuttavia...E tuttavia, professore?E tuttavia sarebbe ingeneroso parlare di un governo che frena il Paese. Purtroppo questo è un governo che non ha alle spalle un Paese vitale, che chiede di mettersi in gioco; è un governo appiattito sullo stato d’animo di un Paese che per più versi è vecchio e arreso. Sarò duro, ma chi ama l’Italia non può fare sconti alla verità: senza un governo che sappia esercitare una funzione di stimolo non usciamo dal pantano. Ma ripeto: Letta non c’entra. Il problema è l’Italia e in particolare l’assenza di istituzioni che ci consentano di scegliere il futuro e di valorizzare grazie a una stabile azione di governo le grandi risorse che ancora abbiamo. Come pensiamo che i nostri governanti possano essere presi sul serio nelle riunioni internazionali quando ogni 2 anni continuiamo a mandarne uno nuovo. Ricordo Kohl che faceva a Prodi sempre una domanda: ma tu ci sarai anche dopo? Napolitano ci sarà anche dopo?Vuole la verità: non credo che il compimento della sua missione possa essere più breve del suo mandato. Se dovessi azzardare un’ipotesi direi che Napolitano andrà avanti sino alla fine. Perché non è realistico pensare non dico di realizzare, ma neppure di varare una vera riforma istituzionale in 18 mesi.​​​​​
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