venerdì 14 febbraio 2014
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Arturo Parisi, uno dei padri fondatori dell’Uli­vo anni 90, assiste con sgomento all’ennesi­ma caduta di un leader del centrosinistra. Al professore chiediamo innanzitutto chi ha sbagliato di più fra Letta e Renzi. «Con la premessa di riconoscere un’oggettiva scom­postezza al passaggio attuale, direi Letta. Vorrei dir­lo con la voce più bassa possibile, e con affetto. Lo immagino mentre ascolta i numeri, decisamente im­barazzanti, della sua sconfitta, mentre i pochi lettia­ni rimasti lasciano scorati la sala. Penso alla sua sof­ferenza, allo scoprirsi tutto d’un tratto solo, privato del sostegno di protettori e amici sui quali aveva fat­to conto, e perfino degli alleati coi quali aveva im­maginato di formare, dopo la lasca intesa con Ber­lusconi, addirittura una maggioranza politica. E ri­cordo il frettoloso passaggio di consegne della se­greteria Pd a Epifani, e Bersani che dice, vado a me­moria, «ditelo ai giovani: quando si perde si perde da soli». Quasi a dire 'è bene che uno muoia se alleg­gerisce il partito delle colpe di troppi'. Detto questo, ripeto: ha sbagliato di più Letta. E, assieme a lui, tut­ti quelli che in questi mesi non gli hanno parlato con parole di verità». Cosa poteva fare di più il premier? Forse sarebbe meglio cominciare da quello che non doveva fare. Dare ad intendere che avrebbe portato a termine il percorso di riforme in 18 mesi, riconta­ti ogni giorno, e riempirlo intanto di adempimenti pensati per poter durare 5 anni. Accettare di elimi­nare l’Imu come impegno qualificante dell’alleanza con Berlusconi e allo stesso tempo lavorare ad aggi­rare l’impegno. E soprattutto parlare della crisi al pas­sato, mentre della crisi tutti pensiamo di essere solo all’inizio. E cosa, invece, ha mancato di fare? Difendere il suo governo dalla sfida di Renzi. Letta ha immaginato di tener fuori dal congresso Pd il giudi­zio sul governo, incoraggiando addirittura i suoi a schierarsi sui fronti avversi. Come avrebbe dovuto difenderlo? Difendendo le sue ragioni e le sue speranze, proprio dentro quelle primarie che si annunciarono subito come una sfida tra lui e Renzi. Fu appunto da Avve­nire che glielo chiesi, in un’intervista del 19 agosto. La rileggo: «È inevitabile che Letta scenda in campo in difesa della linea incarnata dal governo che gui­da. Per conquistare quel consenso di cui all’inizio non disponeva e per cercare tra gli elettori del Pd quella forza che ancora gli manca... Senza, il suo go­verno è destinato a galleggiare rinviando ogni volta a domani la realizzazione dei suoi obiettivi immagi­nando così di rinviarne la fine». Mi dissero che sor­rise, leggendo il mio invito. Ha cercato forza nella du­rata dei giorni passati, conquistandoli - come ha ri­conosciuto l’altro giorno - uno alla volta, piuttosto che nel confronto e nella competizione tra progetti fu­turi.Passiamo a Renzi: lo si descrive o come un ambi­zioso arrivista o come uno che non ha alternative a un’azione 'energica', visto lo stato in cui versa la politica italiana. Che ne pensa? Vedo un Renzi che confessa «una ambizione smisu­rata « e afferma «se non avessi rischiato nella mia vi­ta, ora sarei al secondo mandato alla Provincia». Un linguaggio aspro, cui non siamo abituati, inusuale e intenzionalmente provocatorio. E tuttavia, agli 'io' travestiti da 'noi' quando si tratta di ripartire le per­dite, e esibiti da 'io' solo se ci sono da rivendicare meriti, non ho difficoltà a riconoscere che preferisco l’'io' rotondo di Renzi. Solo un 'io' così può essere chiamato, dopo, a un rendiconto. Sono sicuro che Renzi ne è cosciente. E sa che non gli faranno scon­ti. Ma un governo Renzi con la stessa maggioranza quali possibilità ha, in concreto, soprattutto per le riforme da fare? Una bella domanda. Tuttavia la risposta non tarderà molto ad arrivare. Non sarà necessario attendere il 2018 per capire se il traguardo è a portata di mano. La risposta arriverà presto, se dovessimo accumula­re ritardi su quella tabella di marcia che il governo non potrà non declinare ora, alla sua nascita. La leader­ship di Renzi, fatta di velocità e ritmo, può soppor­tare tutto fuorché il ritorno al calendario dilatorio del governo Letta. E men che mai il ritorno a vecchi bal­letti fra legge elettorale e riforme costituzionali.
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