martedì 28 agosto 2012
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«Io starei attento ad arroventare il clima. Anzi attentissimo...». Arturo Parisi si ferma solo pochi attimi. Come per cercare le parole giuste per allargare quella riflessione appena abbozzata. «... Si attentissimo. Lo dico a Grillo. Ma anche, anzi soprattutto, a Bersani perché chi parla dall’interno del "Palazzo" non può usare gli stessi toni e le stesse parole di chi ha scelto la rete e le piazze per costruire il consenso»Bersani sta sbagliando?  Lui è il leader del Pd, non può mettersi sullo stesso piano di Grillo. Non può passare dal lei al tu. Nemmeno se l’obiettivo è quello di frenare possibili tentazioni degli elettori democratici verso il Movimento 5 Stelle. Anche perchè per contenere il rischio non basta e non serve dire "bada a come parli"  Che dovrebbe fare?La vera risposta da dare a Grillo è praticare la democrazia dentro i partiti e dentro il Paese. Dovrebbe avanzare una proposta per un governo che possa credibilmente governare e, prima ancora, lavorare a regole che consentano ai cittadini di decidere sul serio. Purtroppo si sta camminando nella direzione opposta e...Qual è il rischio?Finire come nei Vitelloni di Fellini. Con la macchina improvvisamente in panne raggiunta dagli operai infuriati che poco prima erano stati provocati. E qual è la provocazione? Chiedere un voto per governare sapendo che questo non sarà possibile. E, anzi, lavorare sotto traccia per costruire una legge elettorale che, dopo il voto, imporrà quella grande coalizione che nessuno ha coraggio di dichiarare. È una truffa, un teatrino: se si vuole fare una grande coalizione bisogna avere il coraggio di dirlo con nettezza.Ma nel 2013 finirà così?Non vincerà nessuno e sarà ancora Monti o un altro con le stesse caratteristiche a guidare il PaeseNon è solo la strategia di Bersani...No, è la strategia che accomuna tutti: massimizzare il potere e minimizzare la responsabilità. Governare si è fatto rischioso e allora meglio assicurarsi un posto permanente al tavolo, che caricarsi da soli del peso della vittoria. 

Se si fosse lavorato a una coalizione di centrosinistra...Sarebbe stato tutta un’altra storia. E non averlo fatto è di certo la responsabilità maggiore della segreteria Pd. Tenere aperto il confronto con tutti i partiti potenzialmente interessati ad un comune progetto era il compito principale del partito maggiore. Ma non è stato fatto.Lei l’avrebbe cercato anche con Di Pietro?Con Tonino ho sempre avuto un rapporto esigente, ma, nonostante gli scontri il nostro confronto non si è mai interrotto. Con il Pd, invece, un vero confronto non c’è stato mai e la distanza è così cresciuta.Di Pietro ha però grosse responsabilità.È vero, anzi verissimo. Ma il soggetto che doveva essere più interessato al confronto era il Pd. Era il Pd a dover aprire un dialogo reale e arginare l’istinto di Di Pietro a correre da solo.C’è ancora tempo?A questo punto servirebbe la bacchetta magica. Il presente è purtroppo oramai segnato dagli errori del passato. Ma restano pur sempre domande che attendono una risposta comune e, in un sistema bipolare, ognuno dei poli deve avanzare una proposta. Qual è quella del centrosinistra? Ce lo dica lei professore.Che dobbiamo dare un’Europa all’euro lo dicono tutti. E in molti dicono pure che può essere fatto solo radicando questa scelta all’interno di un processo democratico. Ma poi si fermano lì. Non possiamo illuderci che sia la Lega a continuare il discorso magari con una proposta di referendum guidato dalla tentazione della rottura. È urgente che i veri europeisti – che non possono che essere veri federalisti – raccolgano la sfida: l’euro e l’Europa non possono salvarsi che ricominciando da una scelta dei cittadini.

Direbbero sì?Ogni giorno che passa diventa sempre più difficile. E allora dico: bisogna fare presto. Se non si avanza si arretra. E nessuno può dimenticare che in Europa non avanzare significa scivolare nei nazionalismi.

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